Cronaca internazionale

"L'immigrazione è stata imposta. I violenti non cercano giustizia"

Lo scrittore aveva previsto le rivolte nel suo romanzo "Guerriglia": "Le rivendicazioni sociali? Solo una scusa"

"L'immigrazione è stata imposta. I violenti non cercano giustizia"

Ha scritto nel 2016 di un poliziotto che uccide degli immigrati, delle banlieue che esplodono in una violenza incontrollata, della Francia sull'orlo di una guerra civile. Era sette anni fa quando Laurent Obertone usciva con il primo volume della trilogia Guerriglia (Signs Publishing). Ex giornalista, 39 anni, definito romanziere di «estrema destra», Obertone scrive da anni sotto pseudonimo, perché «nel nostro bel Paese di libertà di espressione è impossibile denunciare l'insicurezza, essere critici nei confronti dell'immigrazione, senza finire in guai seri». Teorico dell'inselvaggimento della Francia, nel 2010 fu definito «il grande polemista di domani» da Michel Houllebecq, l'autore di Sottomissione. Lui, in realtà, si sente un emarginato dagli intellettuali e dai media, su cui da sempre punta il dito, accusandoli di alterare o tacere la realtà.

Obertone, le rivolte, la violenza. Era tutto già tutto scritto? Ha visto quello che molti non avrebbero immaginato?

«Penso che molti di noi abbiano gli occhi aperti. Non i grandi media, che mi accusano di fare il gioco dell'estrema destra. E che mi ostracizzano. Le mie osservazioni, però, sono quelle della maggioranza. Da decenni ci viene imposta un'immigrazione su larga scala, contro il parere del popolo francese. E le conseguenze sono disastrose».

La Francia rischia una guerra civile?

«Già da anni è nel mezzo di una guerriglia, il numero di violenze contro le persone è in costante aumento da più di dieci anni. Ogni giorno ci sono dozzine di accoltellamenti, centinaia di aggressioni sessuali, migliaia di aggressioni. I disordini non fanno che generalizzare il fenomeno, con un incredibile senso di impunità, purtroppo comprensibile, visto che la giustizia viene applicata troppo raramente».

Perché questa rabbia?

«Non è rabbia: i rivoltosi si divertono, per la maggior parte. È opportunismo. I loro abusi sono piccoli exploit che celebrano tra loro, che li rendono popolari all'interno del loro gruppo. Attacchiamo, distruggiamo, ci accaniamo contro tutto e in un certo senso facciamo punti. So bene che ci spiegheranno che sono fenomeni sociali, che è una richiesta di giustizia, ma è totalmente falso. Sono osservazioni fatte per accusare la società, invece che i colpevoli. Continuano a ingannarci».

Di chi è la colpa di quello che succede?

«Dei rivoltosi, certo, del governo, per negligenza, della sinistra, per il suo paziente disarmo morale della popolazione e della polizia, ma anche del cittadino medio, di quella maggioranza che tace, che si accontenta di aspettare, senza cercare di farsi ascoltare, senza pensare veramente alla situazione, in tutta la sua grandezza».

Che genere di responsabilità hanno le istituzioni?

«Sono vigliacche e deboli con i barbari, forti e reattive solo con il cittadino medio, addomesticato, docile, che pagherà il conto, ancora una volta. Come sempre lo Stato si accontenta di comunicare. È l'unica cosa che sa fare. La sola cosa che lo preoccupa è l'impatto dei fatti sulla sua immagine. Lo Stato non difende più il Paese, ma solo i suoi interessi. È paralizzato dalla sua immagine, dalla comunità internazionale, dal progressismo mondiale. Quindi non prenderà mai misure drastiche, si accontenterà di belle dichiarazioni».

Lei ha immaginato la caduta della Francia in tre giorni. Ci sono rischi di tenuta del sistema? La gente chiede calma.

«La gente la vuole, ma non la otterrà. E più la vuole e non fa nulla, peggio sarà. Quando i rivoltosi saranno decisamente troppi per lo Stato, quando lo Stato cadrà, ognuno farà per sé, e allora sarà troppo tardi per reagire».

Lei è stato per due anni a stretto contatto con i servizi segreti. Cosa ha imparato?

«I nostri servizi hanno occhi per vedere. E se ne servono. Purtroppo, i loro rapporti finiscono nella spazzatura degli uffici statali. Come dicevo, i nostri leader non sono interessati ai fatti, lavorano piuttosto su come comunicare quei fatti, per tentare di fare buona figurae».

Cosa risponde a chi la accusa di essere vicino all'estrema destra?

«Questa accusa è una canzone destinata a zittirci, a purificare i media dal semplice buon senso. Le mie analisi sono maggioritarie ma questa opinione viene percepita come pericolosa. Quindi viene criminalizzata. I grandi media si rinchiudono così in un mondo di finzione, dogmatico, dove la realtà non entra più. Mirano a privare la nazione della sovranità intellettuale, e quindi della democrazia».

Cosa crede di aver capito che gli altri intellettuali non comprendono?

«In generale, la professione dell'intellettuale consiste proprio nel rifiutarsi di comprendere ciò che tutti comprendono, affermare che è più complicato di così e il buon senso è sempre sbagliato. È l'essenza dell'ideologia, e paga, nei circoli accademici e mediatici. Non si può entrare e avere successo se non ci si conforma a questo dogma di correttezza politica.

Ma sempre più di noi si rifiutano di chiudere gli occhi e di essere complici di ciò che ci viene inflitto».

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