L'inchiesta flop sull'Eni spacca la Procura di Milano

La sconfitta fa esplodere i contrasti, lite in chat tra le toghe. E viene zittito il capo: "Non ci prendere in giro"

L'inchiesta flop sull'Eni spacca la Procura di Milano

Non era mai accaduto che un processo spaccasse così frontalmente la Procura di Milano. E non era mai accaduto che un capo della Procura si sentisse rivolgere, nel pieno del brusco scambio di opinioni, l'invito che viene mandato giovedì mattina a Francesco Greco da uno dei suoi pm: «Francesco, non ci prendere in giro».

Al centro di tutto c'è il processo più importante condotto in questi anni dalla Procura milanese, e culminato mercoledì scorso nella sua sconfitta più cocente, l'indagine sulle tangenti che l'Eni avrebbe pagato in Nigeria per ottenere lo sfruttamento del giacimento Opl245. L'Eni e i suo top manager Paolo Scaroni e Claudio Descalzi sono stati assolti con formula piena dopo un processo durato tre anni, e dopo la richiesta di otto anni di carcere avanzata per Scaroni e Descalzi dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale.

Una botta epocale, che ha portato alla luce divisioni che forse un esito diverso avrebbe tacitato. Così ieri il gruppo WhatsApp interno alla Procura milanese diventa l'arena per uno scontro senza precedenti e senza timori reverenziali. A monte ci sono le risorse e l'ostinazione con cui De Pasquale ha formulato una indagine di formidabile visibilità mediatica ma in cui fin dall'inizio le prove concrete sono apparse inafferrabili. A peggiorare il clima, le divisioni interne alla Procura sulla scelta di attaccare il presidente del tribunale che stava processando l'Eni, accusato di essere troppo innocentista.

A dare il via alla polemica è un sostituto procuratore che posta sul gruppo la copia dell'articolo di Mattia Feltri, apparso all'indomani della sentenza sulla prima pagina della Stampa, intitolato semplicemente «La mania», che spiega che in tutto il mondo le imprese strategiche vengono protette dalle inchieste, «mentre da noi gli inquirenti fanno quello che vogliono, e non le proteggiamo nemmeno dalla mania del sospetto».

È un articolo di tale asprezza che nella Procura di una volta, o riferito a un altro processo, avrebbe suscitato l'esecrazione generale. Invece viene divulgato, e iniziano i commenti. Alcuni critici, alcuni no. Al punto che deve scendere in campo Francesco Greco con un lungo post, rivendicando per intero l'inchiesta di De Pasquale, ricordando che l'azione penale è obbligatoria e che perseguire la corruzione internazionale è una indicazione che viene anche dall'Ocse, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo. Ma il dibattito non si ferma. Lo stesso De Pasquale interviene a propria difesa pubblicando su WhatsApp la memoria d'accusa depositata al processo Eni, invitando i colleghi a documentarsi.

Ma ormai il sasso è lanciato. «A volte non si può stare zitti a costo di perdere la propria dignità. Ma di cosa state parlando? Vi siete mai chiesti cosa pensano i cittadini africani di questa situazione? Francesco per piacere non prenderci in giro, io so quello che è successo e un giorno andrà detto fino in fondo».

Una pm scende in campo in difesa di Greco e si vede definita «dama di compagnia come tanti». E poi: «Il problema non è il terzomondismo ma quello che è successo in questo processo. Di questo un giorno dovremo discutere, non di Ocse o convenzioni internazionali».

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