L'infarto non fa più paura

Un ricovero entro i 90 minuti dall'episodio e le giuste cure mediche e farmacologiche garantiscono il 90% di sopravvivenza

L'infarto non fa più paura
00:00 00:00

Negli ultimi decenni l'infarto fa sempre meno paura, sono sempre di più coloro i quali, anche se arrivano in ospedale con un attacco di cuore acuto e conclamato in atto, sopravvivono, le loro probabilità di farcela salgono al 90%, perché oggi la mortalità per infarto cardiaco si è più che dimezzata, mentre non è migliorata affatto la possibilità di salvarsi fuori dagli ospedali.

L'immediatezza delle procedure applicate nella gestione dei pazienti con diagnosi di infarto miocardico acuto, le cure farmacologiche appropriate e le tecniche di rivascolarizzazione eseguite tempestivamente, hanno di fatto ridotto ad oltre la metà il rischio di morte durante e dopo il ricovero, hanno abbassato al minimo le recidive e migliorato la qualità di vita di migliaia di infartuati in tutto il mondo. Gli interventi salvavita di angioplastica primaria nell'infarto acuto con impianto di costosi stent medicali per tenere dilatate le arterie coronarie sono diventati di routine ed hanno fatto scendere drasticamente non solo la mortalità ma anche le invalidità conseguenti.

Ogni anno in Italia si registrano dai 130mila ai 150mila nuovi casi di infarto acuto del miocardio e purtroppo sono circa 25mila quelli che muoiono prima di arrivare al ricovero, o perché sottovalutano i sintomi, perché credono di non aver digerito bene o pensano si tratti di reflusso gastroesofageo, perché sono assaliti dalla paura e non si fanno visitare, non si ricoverano, ritardando cosi in modo grave l'intervento terapeutico rapido e salva vita.

Il tempo ottimale per sconfiggere l'infarto è intervenire entro un'ora, al massimo un'ora e mezza dall'attacco acuto, chiamando il 118, assumendo una aspirina nell'attesa (per inibire la coagulazione del sangue), o facendosi accompagnare al più vicino ospedale attrezzato per le emergenze cardiovascolari con reparti di emodinamica, per ripristinare il più velocemente possibile il flusso sanguigno nella coronaria ostruita, e non danneggiare il muscolo cardiaco in grave carenza di ossigeno, evitando così il danno ischemico e la necrosi.

Certamente l'età, lo stato di salute e dello stato clinico preesistente possono influenzare l' aspettativa di risoluzione di un infarto, perché patologie come il diabete, l'ipertensione, ipercolesterolemia, malattie renali o metaboliche e l'obesità riducono la capacità di ripresa del muscolo cardiaco. Inoltre il fattore chiave è sempre quanta parte di cuore è stata ferita dall'infarto, poiché l'estensione e la localizzazione dello stesso sono direttamente collegate alla mortalità e alle complicanze, e se la coronaria ostruita è piccola e secondaria le conseguenze saranno meno severe rispetto ad un infarto esteso.

In ogni caso arrivare in ospedale dopo 4/6 ore dall'evento acuto complica enormemente qualunque opzione medica, clinica e chirurgica, ed oggi su 100 pazienti infartuati, gli 11 che muoiono sono quelli non arrivati o arrivati troppo tardi, gli altri 89 si salvano, e questo rivela l'importanza di sospettare subito i sintomi specifici senza aspettare che passino da soli.

Un dolore al petto che insorge dopo uno sforzo, un atto sessuale, una emozione o senza causa apparente, di intensità variabile, costrittivo o angosciante come un attacco di panico, un bruciore ingravescente alla bocca dello stomaco, che può salire nel torace, irradiarsi alle spalle, alle braccia, alla schiena o alla mandibola, soprattutto se accompagnato da nausea e sudorazione umida o fredda, sono tutti segnali che devono far pensare ad una angina pectoris o ad un infarto, per cui bisogna agire entro i primi 60/90 minuti dall'inizio dei sintomi per ridurre il rischio mortale di questa patologia, ancora al primo posto per letalità davanti alle malattie oncologiche.

In tutto il mondo occidentale l'età media dell'infarto è intorno ai 66 anni, in questo periodo di vita il rischio aumenta di circa 8 volte rispetto alle fasce d'età inferiori, anche se l'incidenza è in progressione dai 55 anni, e comunque dopo l'evento ischemico l'adesione rigorosa alle terapie farmacologiche, oltre a modifiche sostanziali dello stile di vita, sono fondame per ridurre il rischio di nuovi attacchi cardiaci.

Cinquant'anni fa la diagnosi di infarto era spesso una condanna a morte, mentre oggi stiamo vincendo la lotta contro questa patologia il cui tasso di mortalità è crollato dell'89%, ma non bisogna abbassare la guardia perché la cattiva notizia è la crescente preoccupazione per altre forme di malattie cardiache come le aritmie, i cui decessi sono aumentati addirittura del 450%, quelli dell'insufficienza cardiaca del 146% e quelli della cardiopatia ipertensiva del 106%, aumenti legati alla crescente longevità, per cui resta sempre importante,

a qualunque età, il controllo e la prevenzione delle malattie del cuore, per impedire che anche queste patologie collaterali si trasformino in stati potenzialmente letali, soprattutto se si è sopravvissuti ad un infarto.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica