
Un «ambulatorio», se così si può chiamare, fantasma quello dove domenica è morta una donna di 46 anni originaria dell'Ecuador. In un appartamento nel quartiere Primavalle, alla periferia di Roma, dove non c'era nessun macchinario di primo intervento, come il defibrillatore, nessun archivio sulle attività svolte, né la cartella clinica della paziente. Alcivar Chenche Ana Sergia stava effettuando una liposuzione presso il dottor Jose Lizarraga Picciotti, un medico peruviano che operava per lo più pazienti sudamericane in una struttura che lavorava da 13 anni senza autorizzazioni, già chiusa in passato dai Nas.
Durante la perquisizione, gli investigatori coordinati dalla Procura della capitale - che ha indagato per omicidio colposo il titolare, l'anestetista e l'infermiera del centro - non hanno trovato nessun documento, nessun atto, né attrezzature che attestassero cosa avvenisse in quell'ambulatorio nel quale, secondo quanto dichiarato dal titolare in un'autodichiarazione inviata in passato alla Asl allegata ad una pratica di riapertura, non potevano essere eseguiti interventi chirurgici invasivi, come la liposuzione. Ana si era affidata a Lizarraga Picciotti per sentirsi meglio con il proprio corpo, forse attirata dai prezzi stracciati pubblicizzati sui social. Nonostante l'ultima autorizzazione fosse scaduta nel 2012, il medico continuava ad effettuare interventi di chirurgia estetica che richiedevano anestesie o sedazioni profonde. Proprio l'anestesia potrebbe aver provocato il malore che ha ucciso la 46enne. L'autopsia, in programma oggi, dovrà stabilire se la donna è deceduta per uno shock anafilattico dovuto a una reazione avversa all'anestesia o per errori commessi durante l'intervento. Non è la prima volta che il medico peruviano ha problemi con la giustizia. Ha precedenti per lesioni legati alla sua attività e nel 2013 era stato condannato dopo la denuncia di una paziente (poi l'accusa è stata dichiarata prescritta).
Le indagini devono accertare perché l'equipe medica avrebbe tentato di rianimare la paziente senza allertare immediatamente i soccorsi.
Si stanno analizzando i telefoni cellulari sequestrati agli indagati e facendo accertamenti sul personale dell'ambulanza privata intervenuta, che ha portato la paziente al Policlinico Umberto I piuttosto che al più vicino Gemelli, senza avvertire dell'arrivo di una paziente in fin di vita.