Sul caso Navalny Bruxelles chiama e Mosca risponde, ma non certo nella maniera desiderata. L'annuncio dell'attribuzione del premio Sakharov per la libertà di espressione al più famoso oppositore politico e mediatico di Vladimir Putin (che dallo scorso gennaio è in carcere) è stato considerato una sfida provocatoria dal Cremlino, tanto che nel giro di poche ore è partito messaggio inequivocabile in patria come in Europa - un ulteriore giro di vite nei confronti dei suoi ultimi collaboratori ancora a piede libero.
Il portavoce di Putin ha fatto ricorso al suo solito linguaggio tagliente per respingere al mittente la scelta del Parlamento europeo di premiare Alexey Navalny «per il suo estremo coraggio nel denunciare la corruzione». «Rispettiamo ovviamente questa istituzione, ma nessuno può costringerci a rispettare una simile decisione», ha detto ai giornalisti Dmitry Peshkov, secondo il quale essa «svaluta il nome stesso del Premio Sakharov». Quanto all'appello a Putin, per la liberazione di Navalny lanciato dallo stesso Europarlamento su input del partito popolare europeo, non è stato degnato neppure di una risposta negativa.
La risposta è però arrivata con i fatti. Un mandato di arresto è stato spiccato contro l'avvocatessa Ljubov Sobol, la più fedele collaboratrice di Navalny. Considerata una figura in ascesa dell'opposizione in Russia, la 34enne Sobol ha partecipato a numerose manifestazioni (quasi tutte non autorizzate) a sostegno del leader incarcerato, ed è verosimile che il «processo penale» nel cui ambito è stata decisa la misura di privazione della sua libertà personale sia collegato a queste, anche se le autorità russe non hanno fornito precisazioni in merito. Non è nemmeno certo che Ljubov Sobol che già era stata colpita da un ordine di restrizione dei movimenti per 18 mesi «per aver violato le norme anti Covid» - si trovi ancora in Russia o se, come diversi altri collaboratori di Navalny, si sia invece rifugiata all'estero per sfuggire a un arresto che era solo questione di tempo.
E mentre dal carcere Navalny ringraziava via Twitter l'Europarlamento per il premio dedicandolo «a tutti i combattenti anticorruzione del mondo» e promettendo di «continuare a fare del nostro meglio», mandati di arresto hanno anche raggiunto altre figure di spicco dell'opposizione che a lui fa capo.
Tra queste spiccano Leonid Volkov, il riconosciuto braccio destro del leader, e Ivan Zhdanov, numero uno della Fondazione anti-corruzione Fbk creata da Navalny e più che mai nel mirino di Putin e dei suoi fedeli. Dunque, proprio in coincidenza con l'appello di Bruxelles a rimettere in libertà l'uomo che ha osato sfidare il capo del Cremlino, sembra arrivato l'ordine di chiudere definitivamente i conti con la sua organizzazione.
Il presidente russo ha peraltro da affrontare anche il serissimo problema del Covid, il cui crescente dilagare con ormai quarantamila contagi e più di mille vittime al giorno lo ha costretto mercoledì scorso a intervenire in televisione per esortare i concittadini a prendersi la responsabilità di vaccinarsi (finora lo hanno fatto solo in tre su dieci) e ad annunciare una sorta di lockdown nazionale
addolcito di nove giorni a partire dal prossimo 30 ottobre. Nella capitale Mosca, in particolare, il sindaco Sergei Sobyanin ha annunciato uno stop obbligatorio dei servizi non essenziali dal 28 ottobre fino al 7 novembre.
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