
Un po' propaganda, un po' rivendicazione. Un po' anche la voglia di dimostrare, al mondo ma soprattutto all'interno, che il Paese è ancora in piedi. Così ieri, è andato in scena l'orgoglio dell'Iran, in occasione dei funerali delle vittime della guerra dei 12 giorni contro Israele. Migliaia di persone, quasi tutte vestite di nero, hanno sventolato bandiere iraniane, mostrato i ritratti delle vittime e intonato cori nazionalisti e di sfida all'Occidente. "Morte a Israele", "morte all'America", "morte a Netanyahu" e "morte a Trump", tra gli slogan più gettonati, oltre a dimostrazioni di fedeltà alla Guida Suprema, l'Ayatollah Ali Khamenei: "Oh nobile Leader, siamo pronti!".
In prima fila anche il presidente Masoud Pezeshkian per le esequie di oltre 60 iraniani, principalmente comandanti militari e scienziati nucleari, oltre a quattro donne e quattro bambini. Con il presidente, anche il comandante delle Forze Qods delle Guardie Rivoluzionarie, Esmail Qaani e Ali Shamkhani, uno dei principali consiglieri di Khamenei e negoziatore nei colloqui diplomatici. Entrambi erano stati ritenuti morti negli attacchi israeliani. Il corteo funebre è partito dall'Università di Teheran con le bare, coperte dalla bandiera iraniana. In particolare celebrate le figure di Hossein Salami delle Guardie Rivoluzionarie, del capo di stato maggiore delle forze armate Mohammad Bagheri, insieme alla moglie e alla figlia giornalista, lo scienziato nucleare Mohammad Mehdi Tehranchi e sua moglie, e il comandante delle Forze Aerospaziali delle Guardie Rivoluzionarie Amirali Hajizadeh, figure di spicco delle oltre 600 vittime del conflitto.
La cerimonia per l'ultimo saluto i "martiri" è stata anche l'occasione per il regime per alzare la testa e lanciare messaggi ai nemici ma anche e soprattutto a chi dall'interno sperava nella spallata agli ayatollah. Il leader supremo Khamenei ha tuonato via social: "Vogliono che l'Iran si arrenda, un evento del genere non accadrà mai", ha detto. "Dal profondo del mio cuore, vi ringrazio, caro popolo. Con amore avete salutato i martiri della nostra patria e la nostra voce di unità è giunta alle orecchie del mondo. Abbiamo imparato a non sottometterci all'umiliazione e a non chinare il capo davanti all'oppressione. Per sempre Iran", è il messaggio di Pezeshkian. Ancora più simboliche e retoriche le parole del ministro degli Esteri Abbas Araghchi: "Gli iraniani hanno dato il loro sangue, non la loro terra; hanno dato i loro cari, non il loro onore", ha detto, aggiungendo che l'Iran "non conosce la parola resa" perché "il grande e potente popolo iraniano, ha mostrato al mondo che il regime israeliano non ha avuto alcuna scelta se non quella di correre da papà Trump per evitare di essere annientato dai nostri missili". Non mancano anche le minacce con il ministro che, nonostante il conflitto abbia raccontato una realtà ben diversa, mette nel mirino tutti i nemici del regime: "L'Iran non accetta con favore minacce e insulti. Se le illusioni portano a errori peggiori, l'Iran non esiterà a svelare le sue reali capacità il che porrà sicuramente fine a qualsiasi illusione sul suo potere".
Parole dure e cariche di propaganda anche da parte della missione di Teheran all'Onu. "Gli Stati Uniti e il regime sionista hanno apertamente minacciato di assassinare la Guida Suprema dell'Iran. Questo atto criminale costituisce un manifesto esempio di terrorismo di Stato e la gravità stessa di tale minaccia non deve essere in alcun modo sminuita o normalizzata", parlando poi di violazione del diritto internazionale appellandosi al segretario generale delle Nazioni Unite e all'Assemblea chiedendo di punire chi ha attaccato il Paese.
Il tutto, proprio mentre l'Iran tenta lentamente di tornare alla "sua" quotidianità, con lo spazio aereo che riapre per i voli internazionali, in quell'illusione di normalità propria di un regime in cui chi osa dissentire finisce ammazzato.