ll "partito dell'ombrellone" che accende gli irrequieti

Tra fantapolitica e segnali al Palazzo, i rumors coinvolgono tre ministri e il sindaco di Milano

ll "partito dell'ombrellone" che accende gli irrequieti

Il luogo sembra piuttosto affollato, come una sorta di stabilimento balneare della politica da ombrellone. Ci passa chi spera in un cambio di passo, chi trova scomodo sedersi a destra o sinistra, chi ha trovato occupata la sua vecchia casa, chi pensa che dilapidare l'esperienza del governo Draghi sia da irresponsabili, chi da sempre ci sta in attesa del ritorno di uno scudocrociato, chi non ha più nulla da perdere. Quelli che mancano al momento sono gli elettori, anche perché in questa confusione faticano a capire di cosa esattamente si stia parlando. Il «grande centro» rischia di restare così una leggenda metropolitana. Non è che non esiste, è che ognuno che arriva si mette a litigare con il vicino di posto. «Tu qua non ci puoi stare».

A guardarlo troppo da vicino il «centro» ricorda la taverna di Mos Eisley in Star Wars, sul lontano pianeta Tatooine, popolata da gente stravagante e che in alcune occasioni può apparire perfino malvagia. Non è del tutto vero, ma è consigliabile non dare la schiena. Il «centro», se esiste, ha bisogno di una definizione più chiara. Non basta dire che non sono sovranisti, populisti e che non vogliono morire lettiani o qualsiasi altro tipo di segretario piddino che non abbia l'accento toscano e il sorriso poco rassicurante. A pensarci bene neppure lui, l'uomo che un tempo stralunava al 40 per cento, può oggi dare un volto a tutti. C'è chi lo considera una spina nel centro.

Tra questi c'è Carlo Calenda, lui che il centro lo teorizza e lo ha portato anche alle elezioni romane con una certa soddisfazione. Ecco Calenda l'altra sera, con l'aria condizionata a sbollire il sudore, ha fatto i nomi dei frequentatori, indicando pure quelli che non ci dovrebbero stare. La lista dei centristi è lunga. Ci trovi appunto Renzi e lo stesso Calenda, con un problema caratteriale di reciproca incompatibilità e poi a seguire: Beppe Sala da Milano, Giggino Di Maio usurpato da Giuseppe Conte, tre ministri berlusconiani come Carfagna, Gelmini e Brunetta (ma più che centristi sono draghiani), Toti e Brugnaro, Emma Bonino con il sogno di più Europa, Gori da Bergamo, Del Bono, Tinagli e Cottarelli, l'ormai sedentario Mastella, stanco di migrazioni, qualcuno sospetta che a guardare al «centro», per allargare i confini del centrodestra, ci sia anche Giorgetti, stanco del «situazionismo social» di Salvini. In questi giorni è arrivato anche Gianfranco Librandi, fondatore di «Italia c'è», che non manca di spirito di avventura. «Abbiamo commissionato sondaggi per capire cosa vogliono i cittadini. Stiamo costruendo un veliero. Speriamo che Di Maio e Sala si innamorino del nostro progetto. Il nostro veliero ha bisogno di nostromi famosi che sappiano indicare le rotte giuste. Tutti ci osservano».

Il «centro» non ha ancora dimensioni. È una serie disordinata di punti. Renzi dice che è prematuro cercare una forma. «Chi ne parla ora, fa una discussione da ombrellone. È come il calcio mercato perché tra sei mesi sarà tutto diverso». Matteo è convinto che per vincere le elezioni serviranno i voti di centro, quelli che ancora non hanno bandiera. L'offerta a un certo punto crea la domanda.

Solo che questa offerta non può essere uno spazio bianco disseminato di puntini. In questo luogo immaginario potrebbe passare il destino atlantico e europeo dell'Italia. Molti evocano il nome di Draghi, ma come dice Renzi: «L'area Draghi non è un partito, sennò diventa subito un Monti bis».

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