Cronache

Locali "riaccesi" per una sera. Il grido della Milano da bere

L'iniziativa pacifica dei 100mila ristoranti italiani chiusi. L'allarme: "Ricavi -70% con il distanziamento"

Locali "riaccesi" per una sera. Il grido della Milano da bere

Le strade di Milano in preda da settimane di un mesto coprifuoco sono state rischiarate ieri sera dalle le luci dei locali, dei ristoranti, dei bar che un tempo le animavano. Alle 21 i titolari hanno acceso le luci, si sono seduti ai tavoli, alcuni sorseggiando un cocktail, unici avventori. Niente canzoni, niente musiche, solo luci. Oltre 100mila hanno aderito in tutta Italia, 8mila in Lombardia, 1.500 a Milano. Dove i quartieri della movida, Navigli, Isola, Porta Venezia si sono rianimati per un'ora, per segnalare la crisi del comparto non tanto a chi li guardava dalle finestre dei palazzi intorno, ma al governo.

«Siamo venuti ad accendere la luce, abbiamo affisso la locandina di Risorgiamo Italia il nome dell'iniziativa, lanciata dal Movimento Imprese Ospitalità - siamo dentro ai nostri locali. La nostra è una iniziativa pacifica che speriamo tocchi il governo» spiega Giovanna Brigida, titolare di Maya, ristorante messicano aperto sui Navigli dieci anni fa. E non si pensi che la richiesta sia quella di anticipare la data della riapertura: i titolari non vogliono proprio aprire fino a quando le condizioni non consentiranno di lavorare in modo economicamente sostenibile.

«Con il distanziamento rischio di perdere il 70 per cento dei posti all'interno e dovrei ridurre anche il dehors e la tassa di occupazione resta la stessa. Il plexiglas? Io non metto in gabbia i miei clienti».

La drastica riduzione dei coperti a fronte di costi fissi praticamente immutati sono una situazione che nessuno vuole affrontare. «Riapriremo quando tornerà la normalità. E per noi è terribile, la notte non dormo perché per me questo mestiere è una passione. Ma per tornare ad uscire il cliente deve essere tranquillo».

Già, pensiamo al rito dell'aperitivo, simbolo da decenni della Milano da bere. Ce lo possiamo immaginare solitario, distanziato, coperti da mascherina e divisi in gabbie trasparenti? Impossibile

Ha acceso le luci del cocktail bar Casa Mia anche Luigi Ferrario, titolare e appartenente a una storica famiglia di commercianti milanesi attivi in zona Buenos Aires fin dagli anni '30. «Ci vogliono fare riaprire a giugno così non devono darci aiuti, ma per noi a queste condizioni, dovendo pagare i costi per garantire il distanziamento sociale, con le perdite di incassi fino al 70 per cento non è possibile. Abbiamo bisogno di liquidità e di regole chiare per la ripartenza: il governo dovrebbe istituire una zona economica speciale con tassazione ridotta e un piano economico importante e a lungo termine, perché se no non se ne viene fuori. Il virus, quello economico, ha colpito prima noi, i commercianti, ma se lo Stato non interviene si estenderà all'intero tessuto economico».

Sono due delle tante voci che hanno acceso le luci, ma i temi ricorrono. E le richieste sono espressi in 16 punti nel manifesto del movimento.

Questa mattina alle 11,30 a Palazzo Marino a Milano, e in tutti i Comuni d'Italia dove vi sia un locale che ha aderito all'iniziativa, saranno consegnati al sindaco le foto delle chiavi del locale con relativo biglietto da visita. Un gesto simbolico per segnalare: siamo chiusi e lo resteremo, ma voi aiutateci.

O non riapriremo mai più.

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