Radical chic

Il lockdown dorato dei radical chic

Intellettuali, artisti, professori, giornalisti caregiver: chi si schiera contro le riaperture non ha quasi mai nulla da temere dal futuro

Il lockdown dorato dei radical chic

Pianeta terra chiama radical chic. Ci siete? Certo non è facile restare sintonizzati col Paese reale quando si vive in un universo dorato. Case da sogno, cucine che Carlo Cracco scansete, ville in riva al mare, appartamenti accoglienti, giardini, terrazzi, balconi adornati e mini palestre private tra le mura domestiche. Lì l’empatia col popolino prende male, si sa. Pianeta terra chiama radical chic: ci sentite?

No, perché nelle ultime settimane la categoria dei garantitissimi ha dato il meglio di sé. Tema centrale: le riaperture. Il governo Draghi ha annunciato il via libera alle attività all’aperto e subito gli "intellettuali" si sono schierati contro l'"insensato" liberi tutti. In trincea ci sono eminenze di cui non riporto il nome perché a me totalmente sconosciute, ma comunque si tratta di docenti, accademici, scienziati, artisti, filosofi, scrittori, ex politici e via stipendio mensile dicendo. I cervelloni temono che le riaperture possano farci "ripiombare nelle tenebre di una situazione di tipo brasiliano" (e poco importa se i morti per milione di abitante sono più qui che a San Paolo). Hanno paura insomma delle varianti “micidiali”, e benché rispettino “il dramma di tanti lavoratori”, non indietreggiano di un millimetro di fronte al dogma immodificabile del lockdown. Chiusure, e così sia.

Ora, i ragionamenti hanno anche un loro fondamento: il rischio di fare come anno scorso c’è, inutile nasconderlo. Ma per capire il dramma di chi un'entrata fissa non ce l'ha non basta essere solidali a parole. Bisognerebbe provare a tirare avanti un bar, avviare un’attività, fare un debito per pagare i dipendenti, trovarsi di fronte al dolore - quello vero - di licenziare un collaboratore. Non è sufficiente firmare appelli “solidali” quando non si è davvero sintonizzati con la fatica di conquistarsi ogni giorno la pagnotta da riportare a casa.

Ma ormai ci siamo abituati. Voglio dire: ricordate la contessa Antonella Carnelli de Micheli Camerana, quella che pare avere più cognomi che problemi economici? Lei, definita da Rep in “fuga dalla tristezza”, se ne stava nella bella seconda casa al mare “prigioniera” delle chiusure. Lei, capito? Ovviamente Repubblica l’ha intervistata perché raccontare le difficoltà di un operaio che vive in periferia, magari in un bilocale con tre figli, faceva troppo poveraccio. E poi come fai a non sentirti “prigioniera” quando sei parte della dinastia familiare azionista di Exor-Fca e il peggio che può capitarti è che si crei il deserto nell’amata piazzetta di Portofino?

Discorso simile per l’ex ministro “Dracula”, pardon Vincenzo Visco, l’uomo che oggi si dedica anima e corpo al pilates (al pilates!). Ritiene le riaperture “inammissibili” dal punto di vista etico perché fanno prevalere l’interesse economico sul “destino del più debole”. “Un amen per gli sfigati e avanti con la produzione”. E poco importa se le famiglie in qualche modo alla fine del mese ci devono pur arrivare, visto che non è scontato avere un assegno mensile su cui far conto. Perché mica tutti son così fortunati da potersi godere la vita tra un corso di pilates e l’altro. E neppure possono investire risorse in sedute detox in un bell’hotel a Merano, stile caregiver Andrea Scanzi, altro imperturbabile (e convertito) amante del rigorismo. Perché qui, signori miei, è facile fare i chiusuristi con le attività degli altri (per non dire di peggio).

Soprattutto quando si ha la fortuna di godersi un dorato lockdown.

Commenti