Lola morta per vendetta. L'imbarazzo di Macron per l'espulsione mai fatta

La confessione dell'algerina: "Le ho preso la testa e me la sono messa tra le gambe"

Lola morta per vendetta. L'imbarazzo di Macron per l'espulsione mai fatta

Prima la confessione, poi la marcia indietro. In mezzo, la cronistoria di quei terribili minuti che venerdì scorso hanno visto una ragazzina francese di 12 anni finire in un baule, martoriata, sgozzata e infine abbandonata nell'androne di un palazzo di Parigi; nello stabile dove la piccola Lola Daviet viveva con la madre, e dove l'incriminata per l'omicidio, un'algerina 24enne senza fissa dimora, andava a dormire di tanto in tanto ospite della sorella.

Da quando è emerso che la 24enne aveva ricevuto un foglio di via lo scorso 22 agosto, senza dar seguito all'ordine, il caso è deflagrato in un maxi-affaire politico imbarazzante per il presidente della Repubblica. Macron si era limitato a definire la morte di Lola «abominevole e intollerabile», evitando di scavare. E ieri in Assemblée l'esecutivo è stato bersagliato dai neogollisti e da Marine Le Pen, per cui «la sospettata di quest'atto barbaro non sarebbe dovuta essere in Francia da almeno tre anni (era entrata con visto studentesco nel 2016, ndr), troppi crimini e delitti sono commessi da clandestini non rimpatriati, è l'ennesimo caso».

La premier Elisabeth Borne chiede «decenza»: «Lasciamo la polizia fare il suo lavoro e rispettiamo il dolore della famiglia». La cronaca torna così a infrangersi su una Francia già scossa dalle minacce di matrice islamica a un insegnante, solo pochi giorni prima dell'uccisione di Lola. Nell'interrogatorio, la presunta assassina con supposti problemi psichici ha raccontato di tutto e di più. Avrebbe invitato la 12enne di fare una doccia prima di abusare di lei. «L'ho presa per i capelli, le ho messo la testa tra le gambe, ho avuto un orgasmo». Poi, in una sorta di delirio tra desideri infranti e atroce realtà, ha spiegato d'aver messo il sangue della vittima in una bottiglia prima di berlo: ma non c'è traccia del contenitore.

Scansata la pista del satanismo, si prendono con le pinze certe dichiarazioni. La sospettata, dalla cella d'isolamento, dice d'aver «combattuto contro un fantasma», poi un gelido commento davanti alla foto della ragazzina seviziata: «Non mi fa né caldo né freddo, anche io sono stata violentata». Resta la domanda: il dramma era evitabile? I lepenisti parlano di fiasco giudiziario, i neogollisti di lassismo nella politica di immigrazione, tacciando il ministero della Giustizia d'esserne responsabile, perché circa l'80% delle espulsioni non vengono eseguite.

Il Guardasigilli Éric Dupond-Moretti accusa le opposizioni di «servirsi della bara di una ragazzina come marciapiede, una vergogna». E il ministro dell'Interno Gérald Darmanin chiede rispetto per il caso «trasformato in volantino elettorale». Il tema però esiste. Macron si era impegnato a rimpatriare il 100% degli espulsi, in campagna elettorale. E a distanza di cinque mesi non è cambiato granché. Agli inquirenti sta scremare la realtà dei fatti contestati a Dahbia B. dai suoi agghiaccianti resoconti: Lola, uscita da scuola, è nel portone di casa e la donna le fa un cenno con la mano come a dire «vieni qui», convincendola a entrare nell'appartamento della sorella e non nel suo. Il movente resta incerto. Un solo episodio le collega: l'algerina aveva chiesto alla madre della 12enne il Vigik, il badge magnetico per aprire il portone. Il rifiuto, un diverbio. Poi un buco nero.

Vendetta, follia omicida o traffico di organi, altro che problemi mentali, tuona Le Pen, citando la «facilità inaudita nel passare all'azione» evidenziata dagli inquirenti.

Macron, tallonato, ieri si è piegato a un gesto, ricevendo i genitori della piccola all'Eliseo garantendo «sostegno totale».

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