Cronache

Quei frigoriferi vip così semivuoti e politically correct

L'ultima tendenza dei personaggi famosi è apparire frugali e consapevoli, lontani dagli sprechi e dai consumi "pop"

Quei frigoriferi vip così semivuoti e politically correct

C'è il politicamente corretto, quel Corano verbale per cui devi dire: di colore e non nero; male incurabile e non tumore; migranti (parola evocativa e quindi bella) e non profughi (parola terrorizzante e quindi brutta). E c'è il politicamente mangiato, categoria nuova ma già abbastanza affollata e anche affamata e comunque inevitabilmente de sinistra , una serie di regole alimentari e laiche per cui bisogna abiurare (o fingere, all'occorrenza, di farlo) cibi industriali, pubblicizzati, globalizzati, fastfoodizzati, confezionati, surgelati. La nostra immagine, ormai, dipende da quel che entra dalla nostra bocca non meno che da quel che ne esce. Parla come mangi. E guai se mangi sgrammaticato.

Viene un po' da ridere, diciamocelo, leggendo la pagina che il Corriere della Sera ha dedicato ieri ai frigoriferi dei vip (vabbè, siate un po' elastici con il concetto di vip, per favore). Stipati di rapanelli, pere, yogurt (in qualche caso di pecora, perché noi «lo famo strano»), salvia («si può vivere senza salvia?», si chiede il vicepresidente del Senato Valeria Fedeli. Saremo deludenti ma sospettiamo di sì), pesci poveri, carote, pomodori datterini che Elisa Di Francisca, schermitrice olimpionica, mangia al posto del pop corn. Croc. Peccato che a noi, leggendo ciò, ci venga voglia di pop corn autentici, nel bidone bifamiliare da multiplex, con tanto sale mal distribuito e pure un po' di burro. Tiè.

Ma che bravi che siamo, così salutari, così antispreco, così consapevoli, così informati. Tutti che leggono le etichette, che fanno la spesa ogni giorno, che conoscono i contadini di zona, danno loro del tu, che sanno come non buttar via nulla, che non si fanno mai tentare al supermercato (semmai ci vanno) da un acquisto di impulso - una merendina con tanti estrogeni, uno snack dagli ingredienti misteriosi, una caramella con tanti zuccheri da far felice l'associazione medici dentisti.

Tempo fa chi scrive, incuriosito dalla notizia che Carlo Cracco, con quel nome così onomatopeico, aveva confessato di mangiare effettivamente le patatine che pubblicizza, ebbe l'idea di chiedere a un po' di chef stellati se a loro, nel chiuso delle loro case, dopo aver deliziato pletore di gourmet con piatti stellari impiattati divinamente, capitasse mai di lasciarsi andare a qualche tentazione «pop». Alcuni cuochi si indignarono, sostenendo di non aver mai ingerito una nocciolina che fosse una nell'età della ragione. Loro mangiano sempre, anche in vacanza, pimpinella, formaggio di malga di quel solo produttore, sogliole di laguna e amaranto. Loro si nutrono sempre come fosse una liturgia: tv spenta, lo smartphone lontano almeno cinque metri, guardano il cibo, ci parlano.

Per fortuna qualche cuoco stette al gioco e ci confessò che sì, a fine servizio si concedeva un cracker intinto nella maionese industriale, oppure qualche biscotto da multinazionale.

Forse non saranno questi chef a salvare il mondo, ma certamente saranno loro a salvare il nostro umore.

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