
Una mossa clamorosa del Parlamento ungherese: che vota per uscire dai Paesi che riconoscono l'autorità della Corte penale internazionale. E un'eco altrettanto fragorosa a Roma, dove Matteo Salvini (foto) applaude alla decisione di Budapest: «una scelta di giustizia, di libertà e di coraggio». La Lega vuole portare anche l'Italia fuori dalla Corte? Nel caso l'idea sia questa, Antonio Tajani fa sapere di non contare su Forza Italia: «Ho un'opinione differente», dice da Valencia il ministro degli Esteri.
Il tema è bollente, perché l'autorevolezza della Corte dell'Aja è messa in discussione apertamente da Donald Trump, che è arrivato a congelare i beni del procuratore capo Karim Khan, colpevole di avere emesso un mandato di cattura contro il premier israeliano Benjamin Nethanyau per genocidio. Anche il voto del parlamento ungherese di ieri è il seguito immediato delle dichiarazioni del primo ministro Viktor Orbàn, che quattro giorni fa aveva ricevuto con tutti gli onori Nethanyau a Budapest spiegando che il mandato di cattura della Cpi non sarebbe stato eseguito perché «la Corte ormai è un tribunale politico». E il tema riguarda da vicino anche l'Italia, perché è partito proprio da una iniziativa della Cpi il caso Almasri, che tanti grattacapi ha causato al governo: con Giorgia Meloni, i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano indagati dalla Procura di Roma per favoreggiamento e peculato, proprio per non avere arrestato il generale libico accusato dall'Aja di essere un torturatore, e di passaggio in Italia.
La sorte della premier e dei suoi tre collaboratori, raggiunti da un avviso di garanzia del procuratore di Roma Francesco Lo Voi il 28 gennaio, è affidata alla decisione del tribunale dei ministri della Capitale che aveva tre mesi di tempo per decidere se mandare a processo gli indagati. Il termine è scaduto ieri senza che dal tribunale romano arrivassero notizie. La decisione comunque è imminente, ed è chiaro che se i giudici decidessero per un rinvio a giudizio, si aprirebbe uno scontro che riguarderebbe da vicino i rapporti tra Italia e Corte penale dell'Aja: perché nella sostanza (aldilà di un po' di confusione nelle ricostruzioni ufficiali) il governo è convinto di avere agito, riportando Almasri in patria, in nome della sicurezza nazionale, che richiede buoni rapporti con la Libia. E questa sicurezza per la Meloni viene prima del rispetto delle decisioni della Cpi.
Il post di Salvini di applauso all'Ungheria ha dato dunque voce a malumori che non solo la Lega nutre nei confronti della presunta deriva «politica» della Corte. Anche perché la Cpi ha reagito al mancato arresto di Almasri aprendo una procedura formale di infrazione a carico dell'Italia, invitando il governo non solo a spiegare il mancato arresto dell'ufficiale libico ma anche a «presentare osservazioni in merito alla sua mancata perquisizione e al sequestro di materiali».
Una uscita dell'Italia dall'elenco dei 125 paesi (124, se l'Ungheria esce davvero) che riconoscono l'autorità della Corte è impensabile, anche perché proprio in Italia, con lo Statuto di Roma del 1998, la Corte è nata. Ma che i rapporti siano freddi lo testimonia anche la risposta di pochi giorni fa del ministro Nordio sul comportamento dell'Italia se Putin, anche lui ricercato dalla Cpi, sbarcasse sul suo territorio: «Vedremo».
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