Primo (e unico) grande comizio per Emmanuel Macron, nella stranissima campagna elettorale francese. Ieri, nel più grande palazzetto d'Europa appena fuori Parigi, quasi 32mila persone hanno ascoltato il presidente-candidato alle prese con una bilancia del consenso favorevole ma sempre più incerta. I posti a sedere non si riempiono tutti. E c'è chi, tra gli iscritti al partito del capo dello Stato, teme sorprese a una settimana dal voto.
La distanza si è improvvisamente ridotta: 28,5% Macron, 22% Marine Le Pen (Elabe). Macron chiama quindi a raccolta gli attivisti di En Marche: 300 pullman da tutta la Francia arrivano all'Arena di Nanterre, ribattezzata per l'occasione #MacronArena. La campagna è più dura rispetto al 2017, quando Le Pen si classificò seconda. «Mentre a qualche ora da Parigi si bombarda la democrazia», esordisce Macron, lo scarto tra i due è evaporato in pochi giorni. Non era più possibile che il leader più europeista d'Europa stesse sugli allori. Ecco allora la scenografia imbastita ad hoc: un gigantesco esagono piazzato al centro del palazzetto, Macron ci sale sopra, comincia a parlare. E subito detta una regola: «Qui non si fischia nessuno, ci battiamo per la pace». I buu... per Putin non fanno parte del programma. A Nanterre va in scena una sorta di «chiarimento» sull'agenda del presidente, adattata agli eventi: dal Covid alla guerra. In una scenografia da Super Bowl, Macron dice di voler riaffermare il legame «esercito-nazione», rivendica i progressi fatti senza definirli successi e traccia la rotta: «Bisognerà lavorare di più come in Italia, Spagna e Germania». L'agenda è cambiata: Macron guarda più al portafoglio, alla spesa nei mercati, alle tasse. Classi medie e popolari al centro delle preoccupazioni. Meno, agli ideali che portarono un ex ministro quasi sconosciuto al trionfo cinque anni fa. Nel discorso, concede pure un mea culpa, invocando la necessaria «benevolenza» della maggioranza verso la minoranza. I gilet gialli lo hanno segnato. Le piazze anche, foriere di scontri tra agenti e manifestanti. E non c'è solo BleuMarine a rincorrerlo ma pure l'altro uomo della destra, l'ex editorialista Eric Zemmour, e la neogollista Valérie Pécresse. Prova a rimediare, annunciando l'aumento della pensione minima a 1.100 euro e agevolazioni per i lavori usuranti. Riportare la produzione in Francia è il nuovo mantra: «Non possiamo dipendere da altri per nutrirci». Macron chiede un applauso per gli agricoltori; promette aiuti e più dignità per i prodotti che finiscono sugli scaffali dei supermercati. Rilancia la riforma delle pensioni con l'impegno a innalzare l'età a 65 anni. Prova infine a rinvigorire una base quasi scomparsa. Tanto che gli tocca rifornirsi altrove invitando «tutti» a unirsi a lui, «dalla socialdemocrazia al gollismo, passando per l'ecologia politica». L'appello «alla nostra Europa», di cui fino a giugno la Francia ha la presidenza, scivolata in secondo piano a causa delle ripercussioni della guerra sulla vita di tutti i giorni. Inflazione, potere d'acquisto, paura nucleare. Macron evoca pure la laicità e Samuel Paty, il prof sgozzato «per mano dell'ideologia terrorista-islamista». Dagli spalti parte una Marsigliese spontanea. Dopo due ore tra cali di voce e grida d'aiuto alla platea («Aiutateci!»), il messaggio è chiaro: non sono più così certo di vincere.
L'ombra di Le Pen volteggia. E il presidente lancia la stoccata finale senza nominarla. «L'estrema destra è erede di quelli che hanno combattuto de Gaulle». Prima, però, un bacio dal palco alla portafortuna Brigitte, in prima fila.
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