Politica estera

Macron vince sulle pensioni. Il sì dei giudici incendia il Paese

Riforma promossa, bocciato il referendum. Promulgata la legge entro 48 ore. Subito proteste, allerta Primo Maggio

Macron vince sulle pensioni. Il sì dei giudici incendia il Paese

Al termine di una giornata vissuta al cardiopalma dal governo, con le dita incrociate e con gli occhi sul conto alla rovescia per la decisione del Consiglio costituzionale annunciata per le 18 di ieri, la premier Elisabeth Borne scrive su Twitter: «Stasera non ci sono né vincitori né vinti». Semplicemente, «la legge arriva alla fine del suo processo democratico». Aplomb da signora della burocrazia, che della riforma delle pensioni è stato il volto con cui Emmanuel Macron aveva scelto di sfidare la matematica dei partiti, sfruculiando la destra neogollista e riuscendo a dividerla, fino a incassare la (non scontata) fiducia in aula; che aveva infine permesso di far passare la legge in blocco senza sottoporla al voto dell'Assemblea nazionale.

L'ultimo step (quello giuridico) era atteso ieri, col parere dei 9 «saggi» (3 dei quali soltanto, di osservanza macroniana). Testo pressoché inattaccabile, secondo il Consiglio costituzionale: almeno nelle parti scritte dall'esecutivo, in cui la «Corte» non ha trovato grossi vizi. Stando ai sondaggi, 7 francesi su 10 continuano a essere contro la legge. Ma alla fine il Consiglio dice sì al passaggio graduale da 62 a 64 anni di età (con 43 di contributi per un assegno pieno). E blocca, soprattutto, il referendum di iniziativa condivisa, l'ultima spiaggia dei sindacati per inguaiare Macron e scrivere in Costituzione che l'età «legale» non può superare i 62.

A esser «censurati» sono stati invece gli inserti dell'ultimora, alla legge; parziali modifiche che il testo aveva subìto in fase di trattativa parlamentare, al Senato, sui cosiddetti indici di anzianità per mitigare gli effetti della norma e la sperimentazione dei contratti a fine carriera. Poca cosa, rispetto al nocciolo dell'età, che da settembre, di trimestre in trimestre, costringerà i francesi a lavorare più a lungo per garantire i conti dello Stato (e il pagamento stesso delle pensioni).

Finite le tappe giuridiche, resta la crisi sociale da gestire. La «vittoria» di ieri, per Macron, preannuncia un 1° maggio di fuoco dietro l'angolo. Sindacati e frange violente pronti a convogliare le forze: come una lava finora scivolata intorno ai palazzi del potere senza bruciarli. Ieri sera, dopo i cortei spontanei del mattino, primo assaggio a Parigi: incendi, arresti, lacrimogeni e feriti. Blindato il palazzo della Corte. Poliziotti sui tetti, barriere altre 4 metri. Gendarmi e un dispositivo di sicurezza più adatto a uno scenario di guerra che a un passaggio democratico.

A soffiare sul fuoco, la gauche e Jean-Luc Mélenchon, leader del primo gruppo di opposizione: «Saggi più attenti a difendere la monarchia che non il popolo, bisogna farsi sentire, lotta continua». «Ora sta al popolo preparare l'alternanza», dice invece Marine Le Pen, l'unica ad aver guadagnato punti dal malcontento. Lei dà appuntamento alle presidenziali. Lontanissime: 2027. Macron, già al secondo mandato, non ci sarà. Ma la Francia rischia davvero d'incendiarsi, e stavolta sul serio.

La rabbia anche ieri mattina aveva riportato migliaia di persone in corteo in 230 città, mentre da Notre-Dame, in visita al cantiere della cattedrale, Macron si diceva determinato. Poi, l'ultima miccia: via libera alla riforma «entro 48 ore» (avrebbe 15 giorni, invece partita chiusa nel weekend, fa sapere l'Eliseo). «Uno schiaffo», dicono i comunisti. Un secondo referendum di iniziativa condivisa sarà vagliato il 3 maggio. Quello analizzato ieri era traballante, quindi bocciato. I burocrati di Macron sono stati più bravi: a scrivere la legge, resistere alle pressioni, scansare le provocazioni. Basterà a disinnescare la pericolosità di un magma sociale pronto a risalire la superficie del vulcano-Francia? Sophie Binet, neosegretaria del sindacato più oltranzista Cgt, getta benzina: «Unica via è rinviare la legge, Macron non può continuare a dirigere il Paese, tutti in piazza il 1° maggio, sarà una mobilitazione storica, di massa, di famiglia e di lotta».

L'eruzione è davvero solo all'inizio.

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