La maggioranza rischia: è appesa a sette senatori

Dopo lo scontro con Renzi per l'elezione di Mattarella, il gruppo Ncd-Udc è in fibrillazione. E per mandare sotto il governo bastano pochi malpancisti

La maggioranza rischia: è appesa a sette senatori

Nei giorni in cui sembra invincibile, quasi in trance agonistica, Matteo Renzi ha solo un avversario. Un piccolo oggetto di insignificante valore ma che non perdona: la calcolatrice. Per portare avanti senza naufragi le riforme che santificherebbero e blinderebbero il suo regno, King Matteo deve contare su una maggioranza al Senato. E nei giorni del patto del Nazareno in terapia intensiva, potrebbe anche vedere evaporare l'appoggio dell'Ncd, che dopo mesi di azzerbinamento sembra finalmente voler chiedere la prova del dna moderato. È vero che Renzi si è dimostrato spavaldo nel maneggiare maggioranze mobili (governo, riforme, Quirinale), ma nemmeno il suo ego ipertrofico può consentirgli di ignorare la spietata contabilità senatoriale.

Facciamoli, 'sti numeri. Il Senato conta 321 membri (315 elettivi e 6 a vita) e la maggioranza è alla tacca 161. Il Pd, al netto dei malpancisti guariti (per ora) da un antiacido, ne ha 107 (sarebbero 108 ma il presidente Piero Grasso non vota per consuetudine) a cui ha aggiunto finora 60 alleati sulla carta: 36 di Alleanza Popolare (Ncd+Udc), 7 di Scelta Civica, 17 del gruppo Per le Autonomie (6 tra Südtiroler volkspartei, Union valdôtaine, Partito autonomista trentino tirolese, Unione per il Trentino, uno del Maie, tre ex Scelta civica, tre socialisti, l'ex M5S Lorenzo Battista e i tre senatori a vita Elena Cattaneo, Giorgio Napolitano e Carlo Rubbia).

Siamo a 167. Margine di sicurezza minimo. Basterebbero sette senatori di Ap che fanno perdere le loro tracce per mandare sotto il governo. Voci di corridoio parlano di almeno 40 tra i 70 parlamentari areapopolaristi in fuga da Angelino Alfano. Proiettando il dato sulla compagine del Senato, che è la più nutrita (36), possiamo ipotizzare che una ventina di senatori Ncd-Ucd potrebbero lasciare la maggioranza. Alcuni nomi sono già noti: Maurizio Sacconi dimessosi da capogruppo come segnale di disagio per aver risposto ja al diktat di Renzi sul nome di Sergio Mattarella al Quirinale. Roberto Formigoni. Gaetano Quagliariello, che ieri in un'intervista ha chiesto una sorta di verifica di governo (la guai a chiamarla così, che Renzi si innervosisce). Simona Vicari. Renato Schifani. Antonio Azzollini. Eccetera.

Messa così, per Renzi i numeri sarebbero assai ballerini. 168-20=148, ben sotto quota 161. Ed ecco quindi la possibile caccia ai «responsabili», ai franchi soccorritori del governo. C'è ciccia nel Gal, gruppo tendenzialmente di opposizione ma nel quale militano la sottosegretario all'Istruzione Angela D'Onghia e altri senatori che hanno spesso votato contro l'indicazione del gruppo: l'ex montiano Mario Mauro, Giuseppe Compagnone, Vincenzo D'Anna, Michelino Davico, Salvatore Tito Di Maggio, Antonio Scavone. Oltre a quel Paolo Naccarato che, dopo aver girato più o meno la metà dei partiti italiani, ieri ha fatto un endorsement quasi grottesco per Renzi, a cui si rivolge direttamente: «Tieni ben dritta la barra del governo per proseguire risoluti sulla strada delle riforme, del riscatto e del rilancio del Paese forte come sei di un'ampia maggioranza che nell'orizzonte del 2018 continuerà a sostenerti con convinzione». Amen. E altri 8 senatori per Renzi.

Poi il putto fiorentino potrebbe prendere la canna e andare a pesca nel variopinto gruppo misto: qui ci sono 7 senatori di Sel pronti a rifidanzarsi con un Renzi vedovo del Nazareno. E il meraviglioso mondo dei fuoriusciti grillini, che sono ben 15 sparpagliati in ben tre componenti (Italia Lavori in corso di Fabrizio Bocchino, il Movimento X di Bartolomeo Pepe e gli sparpagliati come Luis Alberto Orellana.

Senza contare i due senatori a vita Carlo Azeglio Ciampi e Renzo Piano, che per salute ballerina l'uno e aristocratico distacco l'altro al Senato sono fantasmi. Insomma, l'impressione è che il diabolico Matteo con le sue maggioranze à la carte avrebbe la maestria di cavarsela. Ma come insegnava Giovanni Trapattoni, mai dire riforma se non ce l'hai nel sacco.

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