«Eh sì, perché Francesco Greco lo ha portato la cicogna...». Il commento più sarcastico arriva da Felice Lima, sostituto procuratore generale a Messina. Altri scelgo toni più cauti, più formali: ma la sostanza non cambia. L'intervento del procuratore della Repubblica di Milano mercoledì pomeriggio sullo scandalo che scuote la magistratura ha sollevato una ondata senza precedenti di critiche sulle mailing list dell'associazione magistrati. La colpa di Greco: avere attribuito il malaffare che sta venendo a galla al «mondo che vive nei corridoi degli alberghi e nelle retrovie della burocrazia romana, che non ci appartiene e non appartiene ai magistrati del Nord». Nord. Questa è la parola che nelle critiche assume un significato inaccettabile, interpreta come una sorta di distinzione etnica tra la magistatura «buona» del settentrione e quella del resto del Paese.
Greco ha dalla sua un paio di attenuanti: era condizionato dalla commozione, perché parlava in memoria del collega (settentrionalissimo) Walter Mapelli, ingiustamente bocciato dal Csm e scomparso da poco; probabilmente era di malumore per la bacchettata che poche ore prima gli era arrivata dal Consiglio superiore della magistratura, che ha condannato i suoi criteri di scelta dei pm antimafia. Ma la virulenza delle reazioni al suo intervento racconta anche di quanto siano oggi scoperti i nervi della magistratura italiana, di come la bufera in corso faccia saltare sentimenti di colleganza e vecchi rispetti reciproci.
A criticare Greco un po' più serenamente aveva provveduto, a botta calda, la giunta dell'Associazione nazionale magistrati: «le parole del procuratore di Milano non rendono giustizia alla risposta immediata e sincera delle migliaia di magistrati italiani». Troppo poco, troppo cauta per molti colleghi di Greco. E così iniziano a piovere parole pesanti come sassi. «Tocca leggerle proprio tutte - scrive Giuliano Caputo, pm a Napoli e neosegretario dell'Anm -. Io ho lavorato al Sud per anni e ho conosciuto colleghi di valore cristallino che davvero non meritano di leggere ste cose». Carmen Giuffrida, giudice distaccata a Bruxelles, usa l'arma dell'ironia: Collega Greco, veramente in mezzo ci mancavi solo tu! Uno con il classico cognome del Sud, che lavora al Nord, che è stato nominato procuratore di Milano solo per i suoi meriti, senza alcun intervento da parte delle correnti (evidentemente da un Csm composto per l'occasione solo da colleghi del Nord)... insomma ci sarebbe da piangere se non fosse che questo intervento fa un po' ridere. Ma perché mi dovete costringere a dare ragione a mamma quando mi dice: io credevo che i magistrati fossero persone intelligenti?».
A difendere Greco, ben pochi: tra questi Fabio Regolo, il pm catanese che ha incriminato le navi delle Ong di Open Arms, che invita a contestualizzare il discorso. Ma per le altre toghe c'è ben poco da contestualizzare: «Credo che chi non sia pronto ad affrontare il pubblico e i media dovrebbe astenersi», scrive Milena Balsamo. «Non ci hanno insegnato che quando si parla in pubblico bisogna misurare le parole», le fa eco Nicola Saracino. Più pesante Antonio Salvati: «Da magistrato meridionale che vive e lavora al Sud chiedo che tra le imminenti proposte di riforma venga inserita la previsione di un requisito indefettibile: la capacità di verificare che il cervello, ove assemblato, sia connesso prima di parlare». E la collega Silvia di Renzo: «ci mancava questa delle toghe borboniche». Nicola Valletta: «ha offeso tantissimi colleghi con un assioma che lascia basiti».
E poi, inevitabilmente, saltano fuori ferite mai del tutto ricucite: i vecchi veleni dentro la Procura di Milano al tempo dello scontro tra Edmondo Bruti Liberati e Alfredo Robledo. «Per non farti nominare bastava che mandassi uno dei miei (del Csm, ndr) a pisciare», avrebbe detto una volta Bruti a Robledo. E l'episodio viene ora rispolverato nelle mail, come a dimostrare che anche la Procura di Milano non è immune dai vizi romani.
Scrive Matteo Centini, pm a Piacenza: «Greco ha detto che la non nomina di Mapelli era una ingiustizia dovuta ai modi romani dei magistrati romani: modi che a loro, magistrati del Nord ripugnano, quando non vanno tutti a pisciare».In sintesi: volano gli stracci.
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