Guerra in Ucraina

Mai dire "mai" sulla questione politica estera

Le differenze ci sono. È bene che in questa fase non emergano, ma tra i paesi che aderiscono all'Alleanza atlantica esistono differenze di approccio non del tutto secondarie alla crisi ucraina

Mai dire "mai" sulla questione politica estera

Le differenze ci sono. È bene che in questa fase non emergano, ma tra i paesi che aderiscono all'Alleanza atlantica esistono differenze di approccio non del tutto secondarie alla crisi ucraina. E ai rapporti con Vladimir Putin. Ne ho avuto contezza a fine maggio, partecipando alla sessione primaverile dell'Assemblea parlamentare della Nato a Vilnius.

Chiariamo subito un punto. L'Assemblea parlamentare della Nato non è la Nato. È un organismo parallelo che raccoglie una ristretta rappresentanza dei parlamentari dei 30 paesi che aderiscono all'Alleanza atlantica, con la quale svolge funzioni di raccordo per così dire politico. Uno straordinario punto di osservazione per percepire gli umori e le sensibilità dei paesi atlantisti in materia di difesa e sicurezza.

Ebbene, dal 27 al 30 maggio ci saremmo dovuti riunire a Kiev, ma la guerra ci ha costretti a ripiegare sulla capitale della Lituania, Vilnius. Una città bella e ordinata. Ovviamente, il tema dominante è stato la guerra di Putin all'Ucraina. Non ho colto dubbi sul fatto che la Russia sia l'aggressore, che la guerra sia illegittima e che il sostegno militare alla resistenza ucraina sia stato e sia imprescindibile per non darla vinta a chi ha sfidato militarmente l'Occidente e ai suoi, i nostri, valori liberali e democratici. Tuttavia, vi sono state differenze di approccio a un problema oggettivamente comune. Letta la dichiarazione finale, scritta da un parlamentare polacco, in cui si diceva che la Nato «non riconoscerà mai le rivendicazioni illegali della Russia nei confronti dell'Ucraina», così come «mai» riconoscerà «l'occupazione e l'annessione illegali e illegittime della Crimea» e «l'«indipendenza» delle cosiddette Repubbliche popolari di Luhansk e Donetsk», ho avuto un sussulto. Mai dire «mai», in politica. Soprattutto in politica estera.

Avevo già scritto due emendamenti per ammorbidire tanta intransigenza, quando ho appreso che nella commissione Politica Francia e Germania avevano tentato di addolcire un documento che prospettava come definitivo lo schieramento delle truppe sul fronte Est dell'Alleanza. La sollevazione dei delegati statunitensi, britannici e lettoni aveva indotto francesi e tedeschi a desistere. Capita l'antifona, ho evitato di presentare emendamenti che sarebbero stati probabilmente mal interpretati e sicuramente respinti. L'ho fatto perché consapevole dell'importanza dell'unità atlantica in una fase ancora interlocutoria in cui si misurano le forze in campo. Ma non ho potuto non constatare le differenze di approccio tra chi, i paesi dell'eurozona, ritiene possibile dover scendere un giorno a patti con Putin e chi, gli anglosassoni, i baltici e i paesi dell'Est, sembra escluderlo categoricamente.

Le differenze ci sono. È bene che oggi non emergano, ma un domani potremmo doverci fare i conti.

Anche per questo sarebbe utile accelerare il processo di costruzione di un'Europa «politica», fosse pure «a due velocità».

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