Lui continua a promettere spiegazioni che per ora non arrivano e a camminare ignaro sulla storia della propria famiglia. Ma Luigi Di Maio è anche vicepremier e soprattutto ministro del Lavoro e l'orizzonte si fa sempre più oscuro. Ci sono quattro persone che in forma diversa raccontano di aver prestato servizio in nero nell'Ardima, la società di costruzioni di cui il leader dei Cinque stelle e'socio al 50 per cento. Uno dei quattro, Mimmo Sposito, aveva pure fatto causa a Di Maio senior, o meglio all'Ardima, e in quel procedimento un altro lavoratore, Giovanni La Marca, aveva messo a verbale: «Ho lavorato in nero per un anno, per questo me ne sono andato. Guadagnavo 60 euro il giorno, in contanti, non regolari ma non ci sarà un seguito in tribunale. La storia è finita così». Ma potrebbe non essere conclusa per gli ispettori del lavoro che, combinazione, dipendono dal ministro del Lavoro Luigi Di Maio.
Certo, in primo grado, nel 2016, l'Ardima aveva vinto e la richiesta di indennizzo per 40mila euro era stata respinta, ma il risultato potrebbe cambiare, davanti al giudice d'appello che si occuperà del caso, con una sconcertante calma tutta italiana, nel 2020. Ci sono elementi e suggestioni che potrebbero portare gli ispettori a dare un'occhiata dentro il perimetro dell'azienda dei Di Maio. Insomma, gira e rigira, c'è'un potenziale conflitto di interessi che potrebbe esplodere: gli ispettori di Di Maio a casa dei Di Maio per verificare le condizioni dei dipendenti di Di Maio. Sembra una filastrocca, è un cortocircuito perfetto. Torna alla memoria la vicenda di Maria Elena Boschi che, imbarazzatissima, usciva da Palazzo Chigi quando si discuteva di banche e dell'istituto di credito di papa, la tribolatissima Banca Etruria di cui Pier Luigi Boschi era il vicepresidente. Il disastro dell'istituto di credito ha pesato sulle fortune del governo Renzi e le contraddizioni di Maria Elena hanno riempito intere rassegne stampa. Ora la ruota è girata, le spine sono in casa Di Maio. L'altra sera, ospite del salotto televisivo di Floris, il ministro ha sottolineato che in questo momento l'azienda di famiglia non lavora e non ci sono cantieri aperti, anzi ha disegnato un percorso che va verso la chiusura. Può essere, ma gli ispettori, come San Tommaso, potrebbero mettere il dito nella piaga. E sulle loro teste aleggerebbe una presenza a dir poco ingombrante.
Un altro ex operaio, Salvatore Pizzo, detto Sasà, ha svelato poi che non solo lavorava in modo irregolare, ma che ebbe un incidente: in quell'occasione andò in ospedale ma Di Maio senior lo convinse a non denunciare l'accaduto. Il silenzio - questa la sua versione - comprato con la miseria di 500 euro, per non buttare in un mare di guai il piccolo imprenditore di Pomigliano. Il figlio Luigi non sa o afferma di non sapere tutte queste cose, ma ci sarebbe più di una ragione, sulla carta, per mettere il naso in quell'azienda, per riaprire gli accertamenti e per risentire i lavoratori. E però sarebbe tutto più faticoso e complicato, per via di quell'incrocio di ruoli, le troppe parti in commedia su un palcoscenico troppo piccolo. E l'onnipresente Di Maio potrebbe trovarsi invischiato, in teoria, in un secondo conflitto: i terreni di famiglia di Mariglianella sono sotto ipoteca, ma il condono fiscale appena varato dal governo gialloverde offre una via d'uscita per evitare che quegli appezzamenti di terra finiscano all'asta, come ha indicato in tv lo stesso vicepremier.
L'adesione alla sanatoria fermerebbe, come previsto dall'articolo 3, comma 10, lettera E, la procedura e il patrimonio, peraltro molto modesto, sarebbe salvo. Forse l'adesione non converrebbe nemmeno ai Di Maio, ma questa è un'altra storia. Che non scioglie i nodi sempre più intricati della sua azione politica.
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