Il premier Conte e il ministro Tria a Buenos Aires, interlocutori Trump, Juncker, Moscovici (per un bilaterale post-cena): schema d'attacco. Il vicepremier Di Maio a Bruxelles, impegnatissimo in dirette Facebook, schema difensivo basato sulla tattica del fuorigioco. L'altro vicepremier, Salvini, a presidiare il centrocampo da Roma, dettando linea e passaggi cruciali.
Messa in campo così, potrebbe persino sembrare una formazione da scudetto. Almeno, da sonni tranquilli. Se non fosse che nella (triste) realtà c'è il lavoro in commissione Bilancio a Montecitorio, ieri imballata sulle incredibili vicende della stampa di 5 (o 6) milioni di tessere per il reddito di cittadinanza e su una manovra che non si sa più da quale corno prendere. Lamenta il capogruppo pd, Delrio, il paradosso di «lavorare su un documento non definitivo», con un governo che «non dà risposte, non dice se presenterà emendamenti, in che direzioni e su quali argomenti». Ergo: «la commissione Bilancio sta lavorando a vuoto mentre in qualche stanza fumosa Salvini e Di Maio stanno mercanteggiando su un nuovo testo». Magari fosse vero. Tuona il capo leghista dalla cabina di regia: «Giorno e notte stiamo lavorando, anzi ci sono gli esperti che stanno lavorando e stanno facendo di conto per valutare quanti soldi effettivamente nel 2019 serviranno... Quando ci sarà la somma totale investiremo i soldi che eventualmente avanzeranno in tutela del territorio». È la somma che fa il totale, ricordava Totò. Soldi come se piovesse: Salvini non molla, né su quota 100, né su altro. Più dello 0,2% in meno non si va, giura. «Andremo a Bruxelles a testa alta portando rispetto e chiedendo rispetto. Non verrà tolto nulla da quota 100, se gli esperti ci diranno che abbiamo messo a bilancio più soldi del necessario li useremo per fare altro e non li lasceremo nel cassetto». La controriforma della Fornero, uno dei punti più dolenti della manovra secondo Bruxelles (e non solo) è un gol già fatto, entrerà in vigore «a inizio '19, che non è aprile; se non è gennaio per motivi tecnici evidenti, mi auguro sia febbraio».
Se Salvini non molla, figuriamoci Di Maio: non un passo indietro dalle pensioni «di cittadinanza» e neppure sul reddito (la Ue ieri ricordava che «non è un problema il reddito di cittadinanza, ma il come finanziarlo»). Di Maio però riesce a «interpretare» le parole di Dombrovskis sul deficit al 2,2% del pil «come un incoraggiamento: il tema non sono i decimali, i numeri... ma i cittadini. Dialogo senza tradire gli italiani. Troveremo un punto di incontro: vedremo se parte veramente la procedura, ora si discute su come trovare un punto di caduta». Molti sono convinti che la caduta ci sia già stata, eppure i vicepremier sprizzano ottimismo da tutti i pori: «non vogliamo litigare», dice pure il capo leghista, certo che, non appena ci sarà l'ok alla manovra riveduta e corretta, «gli investitori faranno a gara per venire in Italia». Anche Conte non dà numeri, spiega che «lo spread alto non lo trova distratto» e che «l'Italia non sia un rischio lo dice pure Trump». Ah beh, allora.
«Io devo far ripartire il Paese, ci vuole una misura espansiva», incalza il capo grillino, sempre più convinto che il treno passi una volta nella vita. Ma se i numeri ormai non li dà più nessuno, neppure Tria («c'è una trattativa in corso»), alla Camera resta un bel pasticcio.
Il governo non nasconde di pensare alla fiducia (Fraccaro) già martedì, cioè il giorno dopo l'inizio di una stringatissima «discussione generale» in aula, lunedì pomeriggio. Da martedì si vota, e si va a oltranza fino a venerdì 7. Ci pensi Sant'Ambroeus, se ha il coraggio (di bocciarla).
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