La marcia per gli ostaggi da Bibi

In migliaia sotto gli uffici del premier, che incontreranno domani. Il governo: "Nostra priorità"

La marcia per gli ostaggi da Bibi
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Migliaia di persone con le bandiere israeliane bianche e azzurre e le foto dei rapiti hanno marciato per il rilascio degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas, e sono arrivati ieri a Gerusalemme, tappa finale del percorso di 63 chilometri, lungo l'autostrada, durato quasi una settimana. I parenti dei 240 sequestrati e i manifestanti hanno intonato l'inno nazionale e chiesto al governo di fare ogni sforzo per arrivare al rilascio delle persone catturate dai jihadisti durante l'attacco del 7 ottobre - che ha fatto 1.200 morti - e portate all'interno della Striscia di Gaza. Finora solo cinque ostaggi sono stati rilasciati. Il fiume umano, secondo Channel 12, almeno 30mila persone, ha urlato «Liberateli adesso». Molti dei parenti delle persone prigioniere a Gaza si sentono abbandonati dal governo.

Il corteo, una volta arrivato a Gerusalemme, si è radunato davanti l'ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu. Appena entrati nella città i manifestanti sono stati accolti dai residenti con palloncini gialli con la scritta «riportateli a casa». «Abbiamo camminato per cinque giorni senza fermarci e mi fanno male le gambe, ma niente fa male come il cuore» ha gridato Orin, la madre di Eden Zacharia, rapito il 7 ottobre. «Anche se avessimo bisogno di camminare fino a Gaza, lo faremo, non rinunceremo ai nostri figli» ha poi concluso.

Al termine della protesta, le famiglie sono tornate a Tel Aviv dove hanno incontrato i rappresentanti del gabinetto di guerra Benny Gantz e Gadi Eisenkot. Quest'ultimo ha garantito: «Il ritorno in Israele degli ostaggi è la priorità suprema e precede anche la distruzione di Hamas». Domani sera, lunedì, anche Netanyahu incontrerà i parenti dei rapiti. Dopo l'incontro c'è stato un raduno fuori dal Museo d'Arte di Tel Aviv, in un'area soprannominata «Piazza degli Ostaggi». Yair Lapid, leader dell'opposizione, si è anche unito alla folla in marcia. Quattro giorni fa Lapid aveva detto senza mezzi termini che Netanyahu «deve andare via ora», invocando un voto di sfiducia contro il governo.

Naor Pakciarz, rappresentante delle famiglie del kibbutz Be'eri, una delle comunità più colpite dal massacro del 7 ottobre, ha riassunto così le loro richieste e il loro stato d'animo: «Abbiamo un messaggio per il gabinetto di guerra. Non è possibile prendere una decisione senza sedersi con noi e guardarci negli occhi. Guardaci negli occhi!».

Certo è che più a lungo gli ostaggi restano prigionieri, maggiori sono le possibilità che vengano uccisi. Hamas ha affermato in diverse occasioni che alcuni sono già morti durante gli attacchi israeliani. Lo Stato ebraico considera queste affermazioni come guerra psicologica e propaganda. Hamas ha anche pubblicato venerdì un video che mostra Aryeh Zalmanovich, 86 anni, uno dei detenuti a Gaza. Il filmato solleva preoccupazioni riguardo al suo stato di salute.

Come già avvenuto per le precedenti clip, i media israeliani non hanno pubblicato le riprese, per rispetto verso le famiglie dei rapiti e per non dare una mano alla guerra psicologica portata avanti da Hamas. La sua ala militare, le Brigate al Qassam, hanno fatto sapere nel frattempo che si sono persi i contatti con alcune squadre a guardia degli ostaggi e non si hanno informazioni sulle loro condizioni e il loro destino.

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