Massima allerta in Israele nella ricorrenza simbolo: la distruzione del Tempio

Attesa di ora in ora la vendetta di Teheran. Il Paese confida sulla sua capacità di difesa aerea

Massima allerta in Israele nella ricorrenza simbolo: la distruzione del Tempio
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Com'è silenziosa e tranquilla la giornata di massima allerta di Gerusalemme, su Tel Aviv, il Sud vicino a Gaza è chiuso, al Nord l'esercito in allerta estrema. Il fronte interno non dice una parola di più, si sa già cosa fare in caso di attacco, ma i religiosi che cominciano il digiuno per Tisha b'Av, il 9 di Av, quando il grande Tempio fu distrutto dagli antichi romani, mettono la radio (che di solito non si tocca durante le feste religiose) su un canale di allarme predisposto, sempre acceso. Il simbolo, come si deve in Mediorente, prende il sopravvento sugli avvertimenti e sulla logica, sul «don't» di Biden che rinnova all'Iran e agli Hezbollah la minaccia: è troppo mistica ed estatica la loro ispirazione politica e religiosa, l'idea di riempire il cielo di Israele di messaggeri di morte nelle stesse ore in cui una distruzione storica fece crollare la meraviglia della civiltà bimillenaria della Bibbia e del re David. Una vendetta da non perdere, che susciti il desiderio del Mahdi di venire su questa Terra.

Per Israele è di nuovo tempo di distruzione, lo ripete da giorni l'ayatollah Khamenei che non valuta la spinta interna di Masoud Pezeshkian che suggerisce invece di colpire i traditori in Azerbaijan e in Kurdistan, né l'appello europeo a rinviare la vendetta. Khamenei prima di morire deve lavare l'onta dell'ospite, Ismail Haniyeh, ucciso a casa sua. Lo vogliono le Guardie della Rivoluzione, il suo bastone di conquista e il nemico del popolo iraniano stesso che soffre sotto il suo giogo. Tre fatti principali segnalano la tempesta all'orizzonte, mentre Netanyahu e Gallant ripetono frasi d'incoraggiamento ma sfogano il nervosismo attaccandosi a vicenda nel momento meno adatto: il Pentagono annuncia che è pronta la Uss Georgia, un sottomarino caricato a missili balistici, mentre la grande portaerei Lincoln ha mosso i motori avanti tutta e si unisce alla Theodore Rosevelt, con altre 12 navi americane da guerra. «Don't».

Ma dopo giorni di segnali incerti la possibilità che le sirene suonino è realistica: Tomer Bar, il capo dell'aviazione, ha sospeso ogni viaggio all'estero dei suoi piloti, insieme ai sistemi di difesa gli aerei da combattimento sono la più utile risorsa. La guerra prossima ventura guarda in aria: e forse, e qui è il terzo avvertimento, guarda in su anche Hamas, che ha dichiarato che non parteciperà alla trattativa di giovedì per i rapiti. Potrebbe essere un via libera ai suoi alleati Iran e Hezbollah, che avevano dichiarato che avrebbero agito, ma con attenzione, senza distruggere la possibilità che dalle decisioni di America, Egitto, Qatar e Israele sui rapiti derivasse il cessate il fuoco definitivo a Gaza. Può darsi che adesso Hamas col suo gesto segnali che col suo distacco dall'ipotesi di una pacificazione come quella proposta da Biden i suoi alleati sono liberi di agire a modo loro.

Gallant ripete in queste ore la promessa di restituire pan per focaccia a chi attaccasse, ma anche che siamo di fronte a una guerra molto diversa dal solito, sia nelle dimensioni sia per il modo stesso in cui può essere combattuta: «I nemici ci minacciano in un modo che non ha precedenti; chiunque metta in atto queste minacce può aspettarsi da noi una risposta diversa da quelle precedenti». Israele dal 30 luglio quando a Beirut è stato ucciso Shukr e poi Haniyeh a Teheran, avrebbe potuto attuare un attacco preventivo, per salvare la popolazione dal bombardamento, ma i lacci internazionali legano il Paese e comunque Israele conta sulla difesa ermetica del suo cielo. È 88 volte più piccolo di quello iraniano, indifendibile; inoltre l'aviazione israeliana non ha rivali, tantomeno in quella iraniana. Israele può anche contare sulla vasta alleanza (12 Paesi occidentali e arabi): le continue riunioni con Lloyd Austin e il Centcom superano gli screzi con l'amministrazione americana, che non sono spariti ma che sembrano poca cosa di fronte alle prossime ore. La grande storia mette da parte ogni cosa di fronte alla possibile aggressione distruttiva del fronte islamista e autoritario.

Anche la dovesse compiere per primo Nasrallah, adesso che a Beirut è stato evacuato il suo quartiere, Dahya, e all'aeroporto di Beirut si affolla la gente in fuga, saranno le armi dell'Iran, con dietro la Russia e la Cina, a disegnare una grande guerra. Quella dell'odio antioccidentale, col suo tipico nocciolo antisemita.

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