Cronache

Dalla matita al piatto. Ecco come i cuochi disegnano le loro idee

Un libro svela i «progetti» delle preparazioni «Servono a fissare un concetto e farci capire»

Dalla matita al piatto. Ecco come i cuochi disegnano le loro idee

Che cosa è uno chef? Nell'ultimo decennio abbiamo elevato la figura di questo professionista della cucina a maître-a-penser, filosofo, interprete delle nostre vite e ideologie liquide ed effimere, ma in pochi si sono fatti realmente questa domanda.

Cosa pensa quando crea un piatto? Quanta parte c'è di creatività, quanta di studio e rigore, è più importante l'attitudine al comando o all'ascolto? E cosa ci azzecca la cucina con il design, che ormai si insinua ovunque, nella progettazione delle patatine o degli scopini per wc?

Eppure gli elementi in comune tra cucina e design sono vari, come scoprì già nel XIX secolo Marie-Antoine Carême, il primo a codificare l'arte culinaria, che passava le notti a studiare nel Cabinet des Estampes della Bibliothèque Nationale i disegni dei grandi architetti Palladio e Vignola per poi riprodurne le neoclassiche volute nei suoi lavori di pasticceria.

C'è dell'altro però: accomunano le due discipline la serialità e ripetibilità, della ricetta o della sedia, l'unione di creatività e rigore, la realizzazione finale che scaturisce da un pensiero e un progetto.

Ora scopriamo che i «cuochi» - chiamiamoli con il loro nome per una volta - i piatti che inventano, assaggiano, odorano e manipolano per ottenere la consistenza desiderata li disegnano anche. Per una svariata serie di motivi: comunicare alla brigata che dovrà realizzarli anche visivamente il loro pensiero, tenerne memoria anche per se stessi, replicarli, creare un archivio.

Questi disegni ci vengono ora svelati nel bel libro di Francesca Tagliabue «Chef's Design» (Nomos edizioni, 128 pagine, 39,90 euro) che ne raccoglie quaranta di altrettanti chef stellati e maestri pasticcieri, per la prima volta svelati agli occhi del profano, con relativa ricetta. Così da fornirci uno sguardo sul dietro le quinte dell'haute cuisine, consentendoci di entrare nella testa degli chef e nel cuore della creazione del divino piatto stellato.

Ecco allora Franco Aliberti che «ci mette la faccia» con al posto del cervello gli spaghetti al pomodoro in un'operazione-Amarcord che esalta il «ricordo di quando eravamo piccoli e con una fettina facevamo la scarpetta».

Claudio Sadler ricorda: «Ho iniziato a disegnare perché volevo rappresentare ai cuochi le mie idee mettendo tutte le cose che volevo si realizzassero. Ora mi diverto un sacco, mi chiudo dentro il mio studio per mezze giornate, mi perdo nei colori, mi rilassa».

Non siamo in presenza di opere d'arte ma di mappe mentali, istruzioni per l'uso: «Mio figlio fa Brera e ride guardando i miei disegni racconta Giancarlo Morelli ma fa niente, all'inizio non riesco a farmi capire dai ragazzi, con il disegno diventa tutto più chiaro». «Il processo creativo avviene in cucina ma la replicabilità del gusto è difficile, usiamo i disegni per fissare un piatto», spiega Alessandro Negrini della coppia Negrini-Pisani di Aimo e Nadia. Mentre Roberto Carcangiu, ex stellato oggi formatore, chiosa: «Noi chef in testa abbiamo un database incedibile di colori, consistenze, sapori. La cosa più difficile è far fare, non fare».

Alla fine viene da pensare a quelle foto seriali di piatti postate ossessivamente sui social che sono anche quelle un segno della nostra epoca. Lontane anni luce da queste mappe concettuali, questi appunti grafici.

E forse per questo volutamente nel libro non ci sono foto, ma solo disegni. Per consentirci per una volta di andare al cuore: della creazione, dell'essenza di ciò che tanto amiamo e ricerchiamo in un piatto stellato, in un dolce elegante dalla forma ardita.

Per chiederci infine cosa è uno chef, come ragiona, e magari anche conoscere un po' meglio colui che è diventato, almeno un po', indispensabile al nostro piacere.

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