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Mattarella sapeva dello scandalo toghe. Ermini: "Lo avvisai io"

La rivelazione del vicepresidente Csm: "Gli rivelai io le confidenze di Davigo"

Mattarella sapeva dello scandalo toghe. Ermini: "Lo avvisai io"

Delle due l'una. O qualcuno molto in alto sta mentendo. O almeno dala fine della primavera, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella era a conoscenza dei verbali che rivelavano l'esistenza della loggia paramassonica «Ungheria», di cui avrebbero fatto parte magistrati, alti ufficiali, avvocati, politici, nonché un membro del Consiglio superiore della magistratura, di cui lo stesso Mattarella è il presidente. Ma il capo dello Stato non fa niente, non prende iniziative, non denuncia.

Possibile? Per quanto surreale, questo è il quadro che emerge dai verbali - pubblicati ieri dal Corriere della sera - raccolti dalla Procura di Brescia indagando sul grosso pasticcio in cui si trova la Procura di Milano, dove i verbali dell'avvocato Amara che parlavano della loggia sono rimasti impantanati a lungo. A smuovere le acque, in modo un po' scomposto, è a un certo punto il pm contitolare del fascicolo, Paolo Storari, che porta i verbali a Davigo. A Davigo non sembra vero, perché i verbali inguaiano il suo ex amico Sebastiano Ardita, membro del Csm. Davigo li porta ad David Ermini, vicepresidente del Csm. Ed è il verbale di Ermini a tirare in causa il Quirinale.

Il racconto che Ermini fa dell'incontro con Davigo è quasi surreale: i due si incontrano, Davigo gli racconta a voce un po' di cose, poi gli mette in mano una cartelletta con la copia dei verbali (anche per questo, la Procura di Brescia vuole portare l'ex dottor Sottile a processo per violazione del segreto d'ufficio). Appena Davigo se ne va, Ermini distrugge i verbali senza neanche leggerli. Poi si precipita al Quirinale e riferisce a Mattarella quanto appreso da Davigo. E qui il racconto si fa quasi incredibile, perché secondo Ermini il presidente non apre bocca. Zero. Scena muta. Ermini scende lo scalone senza avere incamerato un consiglio, un'opinione, un commento. Niente.

Ma il silenzio di Mattarella non è l'unico aspetto clamoroso della ricostruzione di Ermini. Del tutto irrituale appare anche la decisione di Ermini (designato alla carica da Matteo Renzi, che ora se ne è pentito e gli dà pubblicamente del fellone) di rivolgersi direttamente al capo dello Stato anziché al suo consigliere giuridico, l'uomo che per tradizione fa da ufficiale di collegamento tra il Colle e il Csm: il potentissimo Stefano Erbani. Nel suo verbale, Ermini non spiega bene il perché della scelta. Anche se sullo sfondo della scena c'è un passaggio non mai chiarito del «caso Palamara»: la cena in cui Cosimo Ferri, magistrato in aspettativa e parlamentare renziano, avvisa Luca Palamara che sul suo telefono potrebbe essere stato piazzato un trojan: indicando come fonte un consigliere del Csm che lo avrebbe saputo proprio da Erbani. Erbani ha reagito annunciando querele per calunnia.

Però, messe insieme, le due storie dipingono uno scenario che fosse vero solleverebbe alcune domande. Il Quirinale, tramite Erbani, sapeva dell'indagine su Palamara. Il Quirinale, direttamente nella persona del presidente, sapeva dell'indagine (insabbiata?) su Ungheria. Come si concilia questo con le ripetute dichiarazioni con cui Mattarella ha spiegato di non sapere, non voler sapere e non poter sapere nulla delle indagini in corso? Ieri, dopo la pubblicazione dei verbali di Ermini, si aspetta a lungo una smentita che non viene: né da Mattarella, e nemmeno da Erbani. E tutto si aggroviglia ancora di più, mentre l'inchiesta sulla presunta loggia - in parte ancorata a Milano, in parte a Perugia - continua a non partorire nemmeno un accenno di chiarezza. Un guaio, se la loggia esiste.

Un guaio, forse ancora maggiore, se non esiste.

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