Si comincia. È tempo di guardarsi in faccia e definire un canovaccio sulla sfida per il Quirinale. L'appuntamento è per domani pomeriggio, dopo i funerali di Stato di David Sassoli, sull'Appia antica, a Villa Grande. Non c'è stato alcun rinvio. Non c'è ragione di attendere il vertice del Pd. Non dipende da Enrico Letta quello che farà il centrodestra. Meglio parlarsi subito. Tutto inizia con una telefonata. Matteo Salvini organizza una conferenza stampa alla Camera dei deputati per parlare dell'aumento dei costi dell'energia. Qui però spiazza un po' tutti, perché non pone un limite al trasferimento di Draghi sul Colle. «Il 2022 sarà un anno impegnativo e la politica ci deve mettere la testa e la faccia. La Lega c'è a prescindere da chi sarà il premier». È la strada di un governo dei leader di partito. È qui che Silvio Berlusconi decide di chiamarlo. Che sta succedendo? Salvini chiarisce: «Ho solo voluto mettere un punto alle troppe voci che girano. Non sarà la Lega a far cadere il governo. La strategia sul Quirinale non cambia. Noi siamo con te». Berlusconi si lascia rassicurare, ma ricorda al suo alleato che in gioco c'è il futuro della coalizione. «Mi raccomando, Matteo. Questa per il centrodestra è un'opportunità storica. Non possiamo sprecarla». È la fiducia il punto centrale di questa storia. È necessario un piano comune e trasparenza. Si contatta Giorgia Meloni che dice «va bene, vediamoci». I tre leader sono pronti a mettere le carte in tavola. A Villa Grande non dovrebbe esserci «Coraggio Italia», il movimento di Toti e Brugnaro. Se lo chiedi a loro ti diranno «immaginiamo di sì, se ci invitano». I «centristi» si sono visti ieri per lanciare un progetto di federazione. Non nascondono di voler partecipare a un ipotetico nuovo governo. Sul Quirinale la loro posizione la spiega Brugnaro: «Non mettiamo veti su nessuno, tantomeno su Berlusconi. È chiaro, però, che non saremo noi a togliere le castagne dal fuoco al centrodestra. Chi è candidato lo deve dire. Noi ci siamo e in dote portiamo 32 voti».
Il vertice di domani dovrà chiarire se tutti sono pronti a scommettere su Berlusconi. È il nodo da sciogliere, senza equivoci, ambiguità e retropensieri. Niente franchi tiratori, perché in quel caso si aprirebbe uno scenario simile ai 101 cecchini di Prodi, il tradimento che nel 2013 distrusse il centrosinistra. È quello che mette in chiaro Antonio Tajani: «Deciderà lui se sciogliere la riserva o meno. Non è una missione impossibile. Non ho dubbi sulla lealtà di Salvini e Meloni. Sono sicuro che nel caso lo sosterranno».
Il secondo passo è quando e come ragionare su un piano alternativo. È quello che chiedono Salvini e Meloni. Un senatore di Fratelli d'Italia fa notare che la fiducia non può essere messa in discussione: «La nostra lealtà è al di là di ogni buon senso politico». Si deve però prevedere un tavolo di trattative più ampio. E con Berlusconi in campo questo ruolo spetta agli altri due leader. «Non può essere allo stesso tempo king maker e re». Gli alleati del leader di Forza Italia vorrebbero lavorarci subito, con il rischio però di rendere meno forte la candidatura di Berlusconi. Giorgia Meloni non vuole trovarsi spiazzata, con sorprese finali.
Allora, per lei, in seconda battuta andrebbe bene anche Draghi. C'è chi dice che Salvini possa mettere in campo, come ipotesi di riserva, il nome di Letizia Moratti. Tutto questo per Forza Italia è prematuro. Il centrodestra adesso deve riconoscersi in Berlusconi.
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