Politica internazionale

Il Mediterraneo e il nuovo peso di Roma. Ecco cosa l'Italia chiede in cambio a Biden

Palazzo Chigi punta all'impegno degli alleati sul fronte sud dell'Europa

Il Mediterraneo e il nuovo peso di Roma. Ecco cosa l'Italia chiede in cambio a Biden

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Missione quanto meno complicata quella di Giorgia Meloni a Washington. Al di là delle strette di mano, degli appelli «all'unità dell'Occidente» e alla causa ucraina e dei complimenti reciproci (quelli di Biden non scontati), la premier italiana ha qualcosa (anzi molto) da chiedere all'inquilino della Casa Bianca. In cambio della revisione (radicale o parziale?) dei rapporti preferenziali con la Cina fissati dal pasticciato memorandum sulla Via della Seta firmato da Giuseppe Conte (e già accantonato da Mario Draghi), il governo di Roma ha presentato una lista della spesa abbastanza nutrita.

In primis, il problema del «Mediterraneo allargato», un concetto geopolitico sviluppato nei decenni dalla nostra Marina militare e, finalmente, approdato nelle linee d'intervento governative come conferma il recente incontro di Roma con i leader africani e (dato importante) con i rappresentanti delle petrol-monarchie del Golfo. Per Meloni e Tajani il problema delle migrazioni africane è irrisolvibile senza un approccio innovativo e paritario con le realtà statuali della sponda sud del Mediterraneo. Da qui le pressioni sull'Europa per una nuova attenzione verso le Afriche con il coinvolgimento di attori extra-europei come appunto i vari emiri e sceicchi arabi, l'Egitto e, cautamente, la Turchia di Erdogan.

Un processo complesso che mira a costituire nel tempo una realtà politica multipolare mediterranea, capace di gestire i fenomeni migratori (ma non solo) e ad assicurare un nuovo equilibrio politico.

Progetto che a parole piace alla commissione di Bruxelles ma poco convince Francia e Spagna ambedue gelose delle proprie politiche africane e per nulla entusiaste di una primazia italiana e lascia, almeno apparentemente, fredda Ankara.

Da qui la richiesta, immaginiamo abbastanza di pressante, di Meloni per una pressione diplomatica degli Stati Uniti sui recalcitranti soci mediterranei e, magari, sugli alleati europei meno entusiasti (Polonia tra tutti) per un impegno pesante (finanziario, diplomatico e militare) sul negletto fronte sud.

A Joe Biden si chiedono poi altri «piccoli» favori: un aiuto per scongelare i soldi del Fondo monetario internazionale per l'acciaccata Tunisia (1,9 miliardi di dollari) e una legittimazione forte per intervenire nell'intricato guazzabuglio libico e, magari, in parti dell'Africa ex francese oggi terreno di caccia (si veda il golpe in Niger) di russi e cinesi. Infine, non dispiacerebbe (anzi) il sostegno Usa alla candidatura di Roma per l'Expo 2030.

Insomma, la riproposizione sotto traccia delle politiche esperite negli anni Cinquanta del Novecento durante la stagione del cosiddetto neo-atlantismo, il velleitario ma non infelice tentativo di Fanfani, Gronchi e Mattei (l'icona della Meloni) di assurgere all'Italia allora appena sconfitta ma ancora ambiziosa al ruolo di «junior partner» degli Usa nel Vicino Oriente e nell'Africa mediterranea. Il tutto a scapito del declinante colonialismo anglo-francese. Una spregiudicata partita a tratti pagante ma interrotta tragicamente dalla morte di Enrico Mattei nel cielo di Bascapè.

Un finale che ci ricorda quanto la «grande politica» globale possa essere fascinosa e micidiale.

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