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Melillo insiste: "Intercettazioni contro la mafia fondamentali"

"Non conosco intercettazioni inutili". Il Procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo debutta nella neonata commissione parlamentare

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«Non conosco intercettazioni inutili». Il Procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo debutta nella neonata commissione parlamentare presieduta dalla Fdi Chiara Colosimo e si intesta la battaglia delle toghe contro la stretta annunciata dal ministro della Giustizia Carlo Nordio. Lo fa con una chiamata alle armi («nessun arretramento») che suona solida sia dal punto di vista investigativo, sia dal punto di vista strettamente «politico». Se il Guardasigilli ha già spiegato che sulle intercettazioni (che costano 200 milioni di euro l'anno) «siamo all'imbarbarimento», tanto che il voyeurismo dei giornali copia-incolla ne ha danneggiato anche la credibilità, con la sua requisitoria in Antimafia Melillo ha riconosciuto la necessità di strappare «una materia così delicata sia ai pericoli dei furori polemici sia alle semplificazioni grossolane», anche per colpa di un deficit infrastrutturale che ha creato non poche distorsioni (e fughe di notizie): «L'archivio delle intercettazioni poggia su una architettura informatica obsoleta e quindi c'è il rischio di un collasso grave», è l'avvertimento dell'ex capo di gabinetto in via Arenula con Andrea Orlando Guardasigilli.

Quanto ad appalti, abuso d'ufficio e Pnrr, Melillo ha rimarcato la sovranità delle indagini sulla teorica farraginosità delle regole sugli appalti che questo esecutivo vorrebbe più snelle: «L'azione di prevenzione non può avere effetti paralizzanti sul Paese, chiunque riceve soldi dallo Stato dovrebbe avere il dovere di rendicontazione». Il rischio di abbassare la guardia rispetto ai controlli è quello di «perdere credibilità» e di «consegnare alle mafie le risorse destinate alla ripresa del Paese».

Parole che risuonano nei corridoi del ministero della Giustizia, che Melillo conosce fin troppo bene. E che compattano la parte della magistratura inquirente legittimamente convinta dello strumento investigativo.

Ma la sintesi della politica è quella di trovare un equilibrio tra le istanze degli inquirenti e i diritti degli imputati, anche se si tratta dei mafiosi che da decenni tengono in ostaggio intere aree del Mezzogiorno, sebbene ormai a detta del procuratore «oggi le mafie si riconoscono nello stesso linguaggio» e sono «questioni europee e internazionali», con «reti mafiose e reti terroristiche sempre più digitali» e dedite al cybercrime, diventato «un cardine strutturale».

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