Politica internazionale

Meloni e l'allarme per il fronte libanese. "Ora bisogna lavorare a una de-escalation"

Le preoccupazioni non solo di Palazzo Chigi ma di tutte le cancellerie europee sono focalizzate su quella che viene considerata la "molto probabile" risposta israeliana all'attacco di Teheran

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Le preoccupazioni non solo di Palazzo Chigi ma di tutte le cancellerie europee sono focalizzate su quella che viene considerata la «molto probabile» risposta israeliana all'attacco di Teheran. E il punto non è tanto «se» ci sarà, ma soprattutto in quali proporzioni. Perché la crisi in Medio Oriente, oggi più che mai, è legata a equilibri sottilissimi e uno show down potrebbe avere conseguenze non controllabili. Di qui l'appello a «evitare un'ulteriore escalation» inserito nelle conclusioni della riunione straordinaria dei leader del G7 che si è tenuta domenica in videoconferenza. Concetto su cui Giorgia Meloni è tornata anche ieri, ribadendo «la ferma condanna per l'attacco iraniano contro Israele» e sottolineando quanto sia ora «importante» lavorare «per una de-escalation». Un appello che è rivolto a tutti i principali attori dello scenario mediorientale e che ieri Meloni ha condiviso con il Re di Giordania Abdallah II durante un colloquio telefonico. Un invito che ha però come destinatario anche Tel Aviv, con il governo italiano che a livello di interlocuzioni ministeriali è in scia con la Casa Bianca e ha sollecitato Israele ad evitare rappresaglie che rischierebbero di compromettere un quadro già complicato. La premier in pubblico non si è spinta fino a questo punto, ma l'intervista del ministro Guido Crosetto al Corriere della Sera lascia pochi dubbi: «Attacco iraniano gravissimo, ma Israele si fermi». Il timore che Benjamin Netanyahu possa cavalcare la crisi anche in chiave interna, d'altra parte, serpeggia non solo a Washington ma anche in Europa. Con la preoccupazione che un allargamento del conflitto a Hezbollah nel Libano del Sud possa accendere una miccia difficilmente controllabile. L'attacco di sabato sera con 170 droni e 150 tra missili balistici e Cruise è infatti partito dall'Iran. E i circa mille chilometri di distanza hanno reso possibile che Israele riuscisse a far valere la forza del suo Iron dome, coordinando le operazione di tracciamento non solo con l'intelligence statunitense ma anche con le informazioni radar fornite da altri Paesi dell'area che non vedono di buon grado gli ayatollah (Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Marocco e Qatar). «Israele - spiga Crosetto, che ieri sera era in Senato insieme al ministro degli Esteri Antonio Tajani per un'informativa sugli sviluppi della crisi - è probabilmente lo Stato al mondo con la maggiore capacità difensiva, ma in questo caso se non fosse stato aiutato da americani, inglesi, francesi probabilmente non ce l'avrebbe fatta da sola perché l'attacco dell'Iran è stato massiccio e violento». E quindi, è la domanda che si fanno in molti, cosa accadrebbe se un nuovo attacco dell'Iran a seguito di una risposta di Tel Aviv partisse dalle postazioni missilistiche di Hezbollah a pochi chilometri dal confine israeliano? Sarà possibile a quel punto evitare un'escalation dalle conseguenze non prevedibili? Crosetto, d'altra parte, non nasconde di temere un «allargamento del conflitto», che - dice - avrebbe come conseguenza un «aumento generalizzato dei prezzi», a partire da «benzina» e «beni primari».

Ma la cutela è di tutti, a partire da Joe Biden. Ieri, in vista del Consiglio europeo di domani e giovedì a Bruxelles, i leader Ue hanno aggiunto nella bozza delle conclusioni un capitolo sul Medio Oriente: condanna dell'attacco e «piena solidarietà a Israele», ma anche la richiesta a tutti gli attori a «esercitare la massima moderazione», rinnovando la volontà di «lavorare con i partner» per mettere fine alla crisi a Gaza, «raggiungendo una tregua immediata» e il «rilascio degli ostaggi». Due fronti su cui ha insisto molto Meloni anche nel suo colloquio di ieri con Abdallah II di Giordania.

Domani, intanto, Tajani avrà un bilaterale con il segretario di Stato americano, Antony Blinken. E sul tavolo non ci sarà solo il Medio Oriente, ma anche l'Ucraina.

Perché l'altro timore forte è che Mosca possa cavalcare la crisi sia sul fronte ucraino sia per rafforzare la propria influenza nell'area mediorientale.

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