Meloni e l'intesa con Rama: 2 hotspot italiani in Albania. I contatti con Von der Leyen

Il modello è quello che aveva immaginato il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak

Meloni e l'intesa con Rama: 2 hotspot italiani in Albania. I contatti con Von der Leyen
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Il modello è quello che aveva immaginato il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak, il cui progetto di mandare i richiedenti asilo in arrivo dalla Manica in centri di accoglienza ad hoc in Ruanda è stato stoppato dalla Corte di appello di Londra, che ha giudicato il Paese nel cuore dell'Africa uno Stato «non sicuro». Giorgia Meloni, invece, ha guardato decisamente più vicino e ha chiuso un protocollo d'intesa con l'Albania, siglato ieri a Roma in occasione della visita del premier albanese Edi Rama, un appuntamento che Palazzo Chigi ha annunciato ufficialmente solo tre ore prima del faccia a faccia. Un incontro durante il quale Meloni e Rama hanno formalizzato la decisione di aprire in Albania due strutture a giurisdizione italiana dove accogliere i migranti salvati in mare in attesa di verificare le loro richieste di asilo. Una sarà realizzata nel porto di Shengjin (lo scalo marittimo situato a nord dell'Albania) e si occuperà delle procedure di sbarco e identificazione, l'altra sarà sul modello dei Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) in un'area più interna. Potranno accogliere complessivamente fino a tre mila immigrati, per una previsione di circa 39mila persone l'anno, così - spiega Meloni durante le dichiarazioni alla stampa con Rama - da «espletare celermente le procedure di trattazione delle domande di asilo o eventuale rimpatrio». L'accordo, aggiunge la premier, non si applicherà agli immigrati giunti sulle coste e sul territorio italiani ma esclusivamente a quelli salvati in mare, fatta eccezione per minori, donne in gravidanza e soggetti vulnerabili.

Dell'intesa, spiegano da Palazzo Chigi, si è iniziato a discutere a Ferragosto, quando Meloni è stata ospite nella residenza estiva privata del premier albanese. Un protocollo di cui è stata messa al corrente - ovviamente per le vie informali - anche la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, così da preparare il terreno in vista di possibili obiezioni di Bruxelles. D'altra parte, a stoppare il modello Sunak - ora in attesa della sentenza della Corte Suprema inglese, prevista per metà dicembre - è stata anche la Corte europea dei diritti dell'uomo, che per prima ha indicato il Ruanda come «asilo non sicuro». Oggi lo scenario è ben diverso e Tirana non è certo paragonabile a Kigali. E, soprattutto, sul punto stanno cambiando le sensibilità di alcuni Paesi europei. Tanto che quattro giorni fa il ministro degli Interni austriaco, Gerhard Karner, ha sottoscritto con la sua omologa britannica, Suella Braverman, un «accordo sulle migrazioni» che punta a introdurre in Austria un programma per spostare in un Paese terzo una parte dei richiedenti asilo.

Sull'intesa sono arrivate le dure critiche dell'opposizione, che accusa il governo di creare una sorta di Guantanamo italiana. Ma dentro Fratelli d'Italia (dove non è passato inosservato il silenzio della Lega) sono più che convinti si tratti di «un accordo storico» e «in linea con la priorità accordata alla dimensione esterna della migrazione e con i dieci punti del piano di Von der Leyen» (così il ministro Raffaele Fitto). Soprattutto, è la convinzione di Meloni, il progetto avrà una forza di deterrenza, perché chi arriva illegalmente e non ha i requisiti per chiedere l'asilo non ha più la certezza di entrare comunque nell'Ue.

Un memorandum che soddisfa anche l'Albania e che Rama potrà far valere nelle interlocuzioni con Bruxelles per l'ingresso di Tirana nell'Ue (la domanda è stata presentata nell'aprile 2009 e dal giugno 2014 l'Albania ha lo status di «Paese candidato»). Un percorso che Roma sosterrà con forza, anche per i Paesi dei Balcani occidentali.

Ma, spiega Meloni, «è più corretto parlare di riunificazione dell'Europa» che di semplice «allargamento». «Se l'Italia chiama, l'Albania c'è», le fa eco Rama. Secondo cui «questo accordo non sarebbe stato possibile con nessun altro stato Ue».

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