Kiev. L' Europa si ritrova a Kiev. E finalmente, dopo mesi di incomprensioni e sfumature, parla con una voce sola. Non solo per ribadire un sostegno quasi incondizionato all'Ucraina, ma anche e soprattutto per mettere nero su bianco la disponibilità a concedere a Kiev lo status di Paese candidato all'ingresso nell'Ue. Un processo in verità lungo e complesso, il cui solo avvio ha però un significato politico potentissimo, soprattutto nei confronti di Vladimir Putin che di fatto si ritroverebbe da un giorno all'altro in guerra con uno Stato «quasi» dell'Ue.
Quando Mario Draghi, Emmanuel Macron, Olaf Scholz, Volodymyr Zelensky e Klaus Iohannis si presentano nel giardino del Palazzo presidenziale per la conferenza stampa congiunta, sembra quasi che seguano un canovaccio già preparato a tavolino. Apre ovviamente il padrone di casa, che non manca di sottolineare come solo qualche minuto prima siano risuonate per la città le sirene antiaeree. Come a dire, non illudetevi che l'emergenza sia passata. Zelensky si dice «grato» per i passi in avanti fatti con la visita dei quattro leader europei, perché è evidente che la foto di Kiev ha tutte le carte in regola per passare alla storia come uno dei momenti di svolta dell'Europa. Il leader ucraino conclude dicendo che lo status di candidato dell'Ucraina «può diventare la decisione più importante dei primi tre decenni di questo secolo». La parola passa a Draghi, che tra i leader europei è da sempre uno dei più convinti sostenitori dell'adesione di Kiev. Parla di «giornata storica» l'ex numero uno della Bce. Che aggiunge: «Italia, Francia, Germania e Romania sono venuti in Ucraina per offrire il nostro sostegno incondizionato». Il messaggio «più importante», conclude, è che «l'Italia vuole l'Ucraina nell'Ue, vuole che abbia lo status di candidato e sosterrà questa posizione nel prossimo Consiglio». Un punto su cui convergono prima Macron e poi Scholz, archiviando di fatto i distinguo delle ultime settimane.
D'altra parte, è di tutta evidenza che la decisione di presentarsi insieme a Kiev è solo la conseguenza di un'intesa politica che è stata raggiunta nelle interlocuzioni diplomatiche, con un passaggio decisivo nella cena che hanno avuto una settimana fa all'Eliseo Draghi e Macron. Sono il presidente francese e il cancelliere tedesco quelli che hanno più difficoltà a spiegare la loro posizione, perché soprattutto per il secondo l'inversione di rotta è netta. «Al prossimo Consiglio Ue dice il cancelliere interverrò con nettezza per appoggiare questa sollecitazione». Vince la linea di Draghi, che non a caso sembra essere piuttosto soddisfatto di come è andata la giornata. Basti pensare che il premier, solitamente riluttante alle telecamere, non solo si concede la conferenza stampa con i leader e un breve scambio con i giornalisti per strada (per lui è la prima volta), ma prima di rimettersi in marcia con destinazione Roma convoca pure una seconda conferenza stampa con i soli giornalisti italiani. D'altra parte, l'accelerazione del processo d'ingresso di Kiev in Europa, sostenuto con forza anche dagli Usa, è sempre stato un punto su cui Draghi è stato in prima linea.
Un'Europa unita sulle ragioni di Zelensky, anche in materia di armi e soprattutto di trattative di pace. Dossier, quest'ultimo, che coinvolge direttamente Macron e le sue interlocuzioni con Mosca («ho sempre messo al corrente Zelensky delle mie telefonate», dice il presidente francese). Insomma, nessun pressing su Kiev. Perché, spiega Draghi, «qualsiasi soluzione diplomatica non può prescindere dalla volontà di Kiev». Circostanza su cui - seguendo uno schema evidentemente concordato - si dicono d'accordo anche Macron e Scholz, con il cancelliere tedesco che - seppure con uno scetticismo palpabile - inizia un percorso di riavvicinamento a Zelensky dopo le tensioni anche pubbliche degli ultimi mesi.
Sul tavolo del summit di Kiev c'è ovviamente anche il capitolo gas, proprio nelle ore in cui Putin ha mosso la «corazzata» Gazprom per ridurre le forniture a mezza Europa. Mosca sostiene che le ragioni sono «tecniche» e che, spiega Draghi, per colpa delle sanzioni non possono effettuare riparazioni perché non arrivano i pezzi di ricambio. Spiegazione a cui il premier non crede. «Sia noi sia la Germania - dice l'ex numero della Bce - riteniamo che siano solo bugie e che in realtà ci sia un uso politico del gas così come del grano». Altro dossier delicatissimo, perché «il dramma della carestia mondiale si avvicina». L'unica soluzione sarebbe un intervento dell'Onu come garante di tutte le parti, ma Mosca si rifiuta. E ormai il tempo stringe.
Al prossimo G7, spiega Draghi, «chiederò al segretario generale Guterres di avere un programma». Solo per sminare i porti, infatti, servono due settimane. E bisogna svuotare tutti i silos entro settembre, altrimenti non ci sarà spazio per il nuovo raccolto che andrà perso.
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