Il messaggio di Israele per riprendersi lo scettro: "L'Iran è vulnerabile, a noi soli le decisioni"

Lo Stato ebraico dimostra di poter minacciare il nucleare di Teheran. Tra gli obiettivi: mostrare la propria autonomia di fronte agli alleati

Il messaggio di Israele per riprendersi lo scettro: "L'Iran è vulnerabile, a noi soli le decisioni"
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Gerusalemme - L'impegno comune nelle ore precedenti l'attacco, almeno da parte del mondo occidentale, tutto preso nell'esclamazione dell'ansia, della paura, della presa di distanza da qualsiasi escalation, è stato quello di chiamare Israele all'inazione. Ma Israele, come tutto il Medioriente, sa molto bene cosa si dice quando si parla di Iran, e come può davvero generarsi una pericolosa guerra di distruzione dalla sua natura aggressiva e terrorista: ciò avviene se l'Iran è convinto di poter piegare, dominare, terrorizzare. «È il Medioriente, stupid». Hamas ha attaccato a morte perché pensava che Israele fosse in ginocchio; Teheran con i suoi missili perché l'ha ritenuta indebolita e divisa. Adesso tutti sanno che le cose non stanno così.

Israele alle 4 di mattina ha attaccato. Ha fatto l'unica scelta possibile dopo che Khamenei lo ha bersagliato con 60 tonnellate di esplosivo che avrebbero potuto colpire un grattacielo di Tel Aviv, le strutture atomiche di Dimona. Missili balistici enormi, fuori e dentro l'atmosfera hanno invece trovato una risposta di incredibile potenza: i piloti israeliani e di altri Paesi li hanno fermati restando in aria in un'operazione acrobatica per 8 ore. La stima, l'ammirazione, la solidarietà, sono tornate a riscaldare i rapporti globali con Israele. E adesso, per il compleanno di Khamenei, la sorpresa di Isfahan. Israele non poteva fare di meglio, ambedue le volte.

Se non avesse risposto, sarebbe stata la fine della deterrenza, dell'idea che l'Idf valga; i suoi servizi di informazione e di sicurezza si sarebbero confermati fuorigioco come il 7 ottobre. Uno scherzo distruggere Israele ormai. Invece, ieri il nome del Mossad è tornato a far parte del mito, l'aviazione è arrivata e tornata indietro intatta dal terreno iraniano, gli obiettivi sono stati colpiti. Era essenziale rispondere subito. Gli F15 sono volati fin dove si può infliggere un danno catastrofico al nemico, dimostrando anche che non dispone di strutture antiaeree anche se possiede i missili e i droni. Israele può arrivare sul cuore delle strutture nucleari: l'hanno visto bene gli amici dei patti di Abramo; sanno di nuovo quanto Israele può essere utile nella difesa dal nemico messianico sciita. Proprio il giorno prima dell'attacco Nasrallah aveva detto che Israele aveva perso la guerra e che non poteva muovere un passo senza il permesso degli Stati Uniti. Invece ecco che Israele si è mosso in totale libertà nonostante i lacci e lacciuoli. Sembra che Biden sia stato avvertito, ma la decisione non è dipesa altro che da una riflessione strategica del gabinetto di guerra: la scelta di realizzarla senza colpire duro consente agli Usa e agli altri di non contrastare la scelta compiuta e limitarsi ad auspici irenici.

Israele ha volato fino alla bocca della belva: vicino a Isfahan, c'è il cuore dell'arricchimento dell'uranio. Così ha affrontato il tema atomico, e indicato la strada. Là tutti devono guardare, e prepararsi a gesti indispensabili alla salvaguardia dell'umanità. Si dice che nel giro di sei mesi l'Iran potrebbe avere 8 bombe. A Isfahan viene custodito lo yellow cake, Israele ha voluto ribadire che è ben conscio del pericolo e può affrontarlo: è anche una freccia rossa che mostra l'obiettivo perché si vada oltre le piccole sanzioni in atto. Durante le ore dell'attacco, Israele ha anche colpito varie postazioni dei proxy iraniani in Siria, Libano, Irak, Yemen. Ma non ha abbandonato Gaza e la determinazione a entrare a Rafah e mettere al primo posto i rapiti. Israele segnala la sua capacità di affrontare in attacco la guerra su più fronti che deve combattere per sopravvivere. È chiaro che pensa anche che il coraggio dimostrato di fronte alla piovra khomeinista sospinga l'opposizione coraggiosa che non ne può più del regime.

In ebraico si dice «hutzpà» quella sfrontatezza un po' maleducata con cui si dice pane al pane e poi si fa quello che è giusto: prende corpo l'Israele del post 7 ottobre, quella che ha capito la lezione, alza il capo, non lascerà che gli ebrei vengano di nuovo sterminati.

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