Il metanolo 30 anni dopo: così è rinato il vino italiano

Nel 1986 la contraffazione fece 23 morti e lo scandalo rischiò di affossare il made in Italy. Oggi volano qualità ed export

Il metanolo 30 anni dopo: così è rinato il vino italiano

C he una disgrazia possa avere qualche vantaggio lo dimostra la strana vicenda del vino al metanolo, che trant'anni fa di questi giorni riempiva le pagine dei giornali italiani. Allora morirono 23 persone e tante altre restarono cieche o con danni neurologici irreversibili.

Oggi, trent'anni dopo, il vino italiano è però molto più buono. Molto più sano. Molto più apprezzato. Molto più venduto.Tutto iniziò il 17 marzo 1986 quando molte persone si setnirono male per avere bevuto vini prodotti dall'azienda Ciravegna in provincia di Cuneo. I titolari, padre e figlio, avevano aggiunto al vino - allo scopo di aumentarne la gradazione alcolica - dosi elevatissime di metanolo. Una componente naturalmente presente nel vino perché prodotta dalla fermentazione dell'uva ma che in quantità elevata quali quelle usate dall'azienda di Narzole poteva rivelarsi fatale. E in molti casi fu proprio così.

Le successive indagini scoperchiarono una pratica omicida diffusa per risparmiare da diverse aziende sparse in tutta Italia: in Veneto, in Romagna, in Puglia. Seguirono altre morti, processi, condanne. Seguì soprattutto la damnatio memoriae del vino italiano che chiuse l'anno di disgrazia 1986 con una contrazione del 37 per cento della produzione e una flessione del 25 per cento nel valore rispetto all'anno precedente. Alcuni Paesi, come la Germania, bloccarono addirittura i vini italiani per settimane alle dogane.Fu il punto più basso del vino italiano. Che in quel momento poteva morire o rinascere e, dopo una lunga agonia, decise di rinascere. Puntando su un sistema di denominazioni e di controlli più rigido, su una qualità più elevata, su una comunicazione più accurata. Furono piantati allora, tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta, i semi che avrebbero fatto crescere il vigneto Italia facendolo diventare il secondo più importante del mondo. Per qualcuno anche il migliore. Ma questi - si sa - sono gusti.

La fotografia del vino italiano trent'anni dopo il metanolo sta nei dati diffusi ieri da Coldiretti e Fondazione Symbola. Dati economici: come quello delle esportazioni che crescono di anno in anno e che nel 2015 hanno fatto registrare il record storico di 5,4 miliardi con un aumento del 575 per cento rispetto a trant'anni fa quando erano risultate pari ad appena 800 milioni di euro di oggi. Primo mercato del vino italiano soni gli Stati Uniti con 1,3 miliardi di euro di export, davanti alla Germania che rimane sotto il miliardo e al Regno Unito con oltre 700 milioni. Ma negli ultimi anni si sono aperti nuovi mercati prima inesistenti come quello della Cina dove le esportazioni di vino hanno superato gli 80 milioni di euro nel 2015.Oggi nel mondo una bottiglia di vino esportata su cinque è prodotta in Italia che si classifica come il maggior esportatore mondiale di vino. Non solo: il 66 per cento delle bottiglie di vino esportate dall'Italia sono Docg, Doc o Igt.

Particolare successo nel mondo ha il nostro spumante con un export che ha sfiorato per la prima volta il record storico del miliardo di euro nel 2015. Il risultato è che all'estero si sono stappate più bottiglie di spumante italiano (Prosecco, Asti, Trento Doc e Franciacorta) che di Champagne francese.

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