Metodo Meloni vincente: mediare con gli alleati per rafforzare se stessa

La premier è stata flessibile e non si è impuntata sulle nomine di area: ha incassato il successo della prima donna ai vertici di un colosso di Stato.

Metodo Meloni vincente: mediare con gli alleati per rafforzare se stessa

Che poi alla fine, spiegano a Palazzo Chigi, questo «metodo Meloni» di cui tanto si parla consiste proprio nel non avere metodo. «Cioè, Giorgia non ha un approccio stabilito o preconcetti, né tantomeno un'ansia di prestazione. Però sa vedere subito qual è la soluzione più utile alla comunità. È duttile, flessibile», racconta uno degli sherpa che ha seguito il braccio di ferro sugli enti pubblici. Tanto elastica da cambiare linea all'improvviso, fiutando una brutta aria, e di passare dalla modalità asso pigliatutto, marchese del Grillo, io so' io e voi nun siete un piffero, a quella rassicurante che concede spazio e poltrone agli alleati e che rinsalda la tenuta della maggioranza. Un'inversione a U, una correzione di strategia apprezzata dal Quirinale e a Bruxelles e che adesso, 24 ore dopo, le consente di arricchire la sua collana già ricca di ad con il prezzo pregiato, la nomina di Giuseppina Di Foggia ad amministratore delegato di Terna, prima donna della storia patria ad ottenere le redini di un colosso di Stato. «La casella che mancava», il commento della premier.

E il giorno dopo la Meloni, in partenza per l'Etiopia per «approfondire il partenariato» e aprire mercati alle aziende italiane, si sente più forte: sembra un paradosso, eppure il compromesso che ha dovuto accettare le spiana la strada per le prossime, difficilissime sfide, a cominciare dal Pnrr. Talvolta è meglio vincere ai punti che ko, perché in questo modo si placano i bollenti spiriti nella coalizione: la pax interna servirà per prepararsi meglio al confronto con la Commissione Ue, senza che qualcuno in casa chieda di rinunciare ai miliardi perché non sappiamo spenderli. Quanto alla lottizzazione, non sempre è una parolaccia. «Giorgia Meloni è intelligente - dice Massimiliano Cencelli, mitico inventore del manuale, il vademecum per assegnare i posti di potere con il bilancino senza scontentare nessuna corrente dc - Io, vecchio democristiano della Prima Repubblica, molte sue idee non le condivido, ma se continua così resterà dieci anni a Palazzo Chigi perché ha scelto le persone giuste per ricoprire della cariche importanti».

Non è stata una partita facile. «Le nomine sono frutto di un attento percorso di valutazione delle competenze e non delle appartenenze», il commento a caldo della presidente del Consiglio. Di più: «È il risultato del lavoro della squadra di governo». Da un lato quindi l'insistenza sul criterio di merito: «Chi ha fatto bene deve restare», al di là del colore politico. Trasversalità, competenza, ancoraggio alla Ue e alla Nato. Dall'altra la necessità di mediare con gli alleati per arrivare a una soluzione condivisa dall'intero esecutivo. Se tutti partecipano, tutti si responsabilizzano.

Poche novità e usato sicuro. E del resto le Big Five sono aziende fondamentali perché, oltre a svolgere i propri compiti statuari, saranno coinvolte nei prossimi mesi ad attuare i progetti del Pnrr e del RepowerEu: dalla transizione digitale e green alla tecnologia delle comunicazioni e della sicurezza, dall'idrogeno verde alle rinnovabili all'autonomia energetica. Non si possono affidare al primo che passa, forse è per questo che molti nominati, ad eccezione della novità storica della Di Foggia, sono facce note nei ministeri e nelle aziende.

Scelte in qualche modo obbligate, un po' per la mancanza di valide alternative «di area», un po' per la voglia di spedire un messaggio rassicurante all'Europa, alle banche, alle istituzioni e ai mercati. Cambiare tanto per cambiare non ha senso.

Descalzi, dicono a Palazzo Chigi, sta lì dai tempi di Matteo Renzi, però ha lavorato bene, anzi è stato cruciale nella ricerca di gas per sganciarsi dalla Russia, quindi che resti.

Stefano Cingolani poi: sarà pure un ex ministro di Mario Draghi, sarà uno scienziato e non un manager puro, sarà inviso alla Difesa, ma siccome la Meloni lo considera decisivo nella futura sfida tecnologico-energetica, ecco che lo ha difeso fino all'ultimo, anche a costo di litigare con Guido Crosetto, pur di salvare il governo e la sua prospettiva.

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