Guerra in Ucraina

Metodo Putin sulla reporter. "Vattene e smetti di scrivere"

Milashina, considerata la nuova Politkovskaja, aggredita in Cecenia: cosparsa di vernice tossica, le dita spezzate

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La forza dei deboli è sempre la peggiore, se la prende con chi capita. Ieri ne ha fatto le spese la giornalista russa di Novaya Gazeta Elena Milashina, aggredita al suo arrivo a Grozny, in Cecenia. L'automobile su cui si trovava in compagnia dell'avvocato Alexander Nemov è stata bloccata nel viaggio dall'aeroporto al centro della capitale della repubblica della Federazione Russa. La macchina sulla quale viaggiavano sulla strada dall'aeroporto è stata bloccata da tre altri veicolo e uomini incappucciati e armati hanno picchiato violentemente i due con calci e pugni anche in faccia e distrutto le loro attrezzature. «Entrambi sono stati presi a calci e pugni, colpiti anche con tubi di polipropilene, è stato ricordato il loro lavoro, i tribunali, i processi, di cui ha scritto Elena Milashina. Questo non è chiaramente un attacco malavitoso, è un attacco per le loro attività», ha denunciato Sergey Babinets, capo del Team Against Torture.

La donna ha riportato la rottura di diverse dita della mano, lividi sul corpo e un violento trauma che ne ha provocato frequenti perdite di conoscenza. E le cose potevano andare anche peggio: gli aggressori hanno più volte puntato la pistola alle tempie dei due, minacciando di ucciderli. E probabilmente per la Milashina e il suo compagno di viaggio deve esserci stato un momento in cui non hanno pensato di poter uscire vivi da quella situazione. Le drammatiche immagini che hanno fatto il giro del web mostrano la Milashina con entrambe le mani fasciate, lo sguardo smarrito, la testa rasata e ricoperta, con la faccia, di una sostanza verde che probabilmente è un antisettico comunemente venduto in Russia e già utilizzato nel 2017 per due volte in attacchi contro il dissidente Alexei Navalny: irrita gravemente la pelle e può perfino provocare cecità. Nella foto, scattata e postata su Telegram dallo stesso Babinets, la reporter sta parlando al telefonino, probabilmente con il commissario russo per i diritti umani, Tatiana Moskalkova.

La Milashina è stata in passato autrice di numerose inchieste sulle violazioni dei diritti umani in Cecenia, fra cui quella che risale al 2017 sugli abusi e uccisioni di persone Lgbtq nel 2017. Considerata l'erede di Anna Politkovskaja, uccisa nel 2006 per le sue inchieste sulla seconda guerra cecena e sul disastro dei diritti civili in Russia, era stata già aggredita nel 2020 a Grozny. Era appena giunta a Grozny per assistere al verdetto del processo che vede imputata Zarema Musaeva, moglie di Saidi Yangulbaev, ex giudice della Corte Suprema della Cecenia, e madre di Abubakar Yangulbaev, attivista per i diritti umani, e Ibragim Yangulbaev, che si ritiene cofondatore del movimento di opposizione Adat. La donna, accusata di aggressione a pubblico ufficiale e frode, crimini chiaramente pretestuosi che una ritorsione per l'attività di Abubakar e dell'altro figlio Ibrahim, entrambi rifugiati all'estero, è stata condannata a cinque anni e mezzo di carcere, la pena chiesta dall'accusa. Musaeva, 53 anni, rapita a Nizhni Novgorod nel gennaio del 2022 e portata in seguito in Cecenia. ha gravi problemi di salute e secondo il figlio Abubakar la sentenza «equivale a una condanna a morte».

Come sempre ipocrita la reazione del Cremlino: «L'aggessrione a Milashina e Nemov è un fatto grave che richiede una risposta ferma - ha detto il portavoce del Crmlino Dmitry Peskov -. Il presidente è stato naturalmente informato». Il leader ceceno Ramzan Kadyrov ha annunciato di aver incaricato le autorità competenti di identificare le persone coinvolte nell'agguato: «Ho incaricato i servizi competenti di fare ogni sforzo per identificare gli aggressori».

Di aggressione «oltraggiosa» parla invece Peter Stano, portavoce dell'Alto rappresentante Ue alla Politica estera, Josep Borrell: «L'Unione europea si aspetta che le autorità russe pongano fine a questi attacchi e assicurino che giornalisti e difensori dei diritti umani possano lavorare in un ambiente sicuro senza timore di rappresaglie».

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