La realpolitik prima di tutto. Come è giusto che sia quando si lasciano i più comodi banchi dell'opposizione per sedere sulla poltrona più alta di Palazzo Chigi. Dove ogni parola ha un peso, conseguenze e controindicazioni. Ecco perché Giorgia Meloni sceglie una linea di prudenza sulla tragedia del naufragio davanti alle coste di Crotone, spiegando che «è nostro dovere morale, prima ancora che politico, fare di tutto per evitare che disgrazie come queste si ripetano». Ma senza avventurarsi nel dibattito sulle eventualità responsabilità nel coordinare i soccorsi del ministro dell'Interno Matteo Piantedosi. E, soprattutto, continuando a tenere aperto un canale di confronto con Bruxelles. Non solo perché il capitolo immigrazione è uno dei principali dossier del Consiglio Ue in programma il prossimo 23 e 24 marzo, ma anche perché la premier è ben consapevole che è sostanzialmente impossibile sperare di fare passi avanti su questo fronte senza avere una sponda nelle istituzioni europee. Di qui, la scelta di scrivere una lettera al presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e al primo ministro di Svezia (che ha la presidenza di turno dell'Unione), Ulf Kristersson, per ribadire la necessità di una politica europea condivisa sui rifugiati. Glissando, invece, sulle parole niente affatto empatiche di Piantedosi. Tanto che - accerchiato dai giornalisti nel bel mezzo del Transatlantico - il ministro Francesco Lollobrigida (uno dei più vicini, se non il più vicino a Meloni) difende sì il Viminale, ma non esita a dire che pur essendo «necessari giorni per approfondire e ricostruire quanto successo» è «giusto fare chiarezza».
Una linea condivisa con Palazzo Chigi, perché un approccio di eccessiva rigidità rischia solo di essere divisivo e accendere nuove polemiche con i partner europei, che ricordano molto bene e sempre con grande disappunto la politica dei porti chiusi senza se e senza ma del primo governo guidato da Giuseppe Conte. Una linea che ha avuto come unica conseguenza quella di far scappare dal tavolo di ogni eventuale trattativa quegli interlocutori europei senza i quali è nei fatti impossibile affrontare il tema migratorio.
Di qui la scelta di una lettera ai vertici delle istituzioni europee. Per ribadire che «senza concreti interventi dell'Ue fin dalle prossime settimane e per l'intero anno», la «pressione migratoria sarà senza precedenti». «Rifiuto l'idea che nulla possa esser fatto e che l'Europa debba rassegnarsi a prendersi cura solo di chi riesce ad avvicinarsi alle nostre coste o ai nostri confini dopo aver affidato la propria vita e quella dei propri figli a trafficanti senza scrupoli, pagati profumatamente per accedere a viaggi disperati», aggiunge la presidente del Consiglio. Che insiste sulla necessità di coinvolgere l'Unione europea, perché scrive «la politica è responsabilità, consapevolezza e capacità di fare delle scelte per gestire fenomeni complessi». Ed è questo che «dobbiamo fare insieme» anche «in tema di immigrazione». «Dipende da noi e dalla nostra volontà di mettere in campo soluzioni che sino a oggi non sono state adottate», è l'appello che Meloni affida alle istituzioni europee.
Politicamente parlando, insomma, è passata un'era geologica da quando nel giugno 2019 e dai banchi dell'opposizione Meloni chiedeva che l'equipaggio della Sea
Watch fosse «arrestato», che «gli immigrati a bordo» fossero «fatti sbarcare e rimpatriati immediatamente» e, infine, che la nave venisse «affondata», come «accade con le navi che non rispettano il diritto internazionale».
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