Mille razzi e i silenzi di Hamas. Tregua (difficile) Israele-Jihad

Gerusalemme esulta per l'eliminazione di due leader. Il cessate il fuoco è traballante per il pressing iraniano

Mille razzi e i silenzi di Hamas. Tregua (difficile) Israele-Jihad

Pioggia di missili su Israele ieri, 500 in un giorno (935 da venerdì) di cui due bloccati su Gerusalemme e anche vicini all'aereoporto Ben Gurion, al Sud e su Beersheba fino all'ultimo minuto prima della pace. Tutte le grandi città sono state bombardate senza tregua. I cittadini hanno ricevuto continue richieste per radio e per telefonino di restare a pochi metri dai rifugi, o dentro casa. La Jihad islamica ha messo in scena un gran finale pirotecnico cercando qualche preda in vista della conclusione serale, rimandata alle 23,30 all'ultimo momento e fissata inizialmente alle 20, su mediazione di Hamas, tramite l'Egitto. Il cessate il fuoco però non è certo, né tanto meno consolidato. Appena scatta, subito partono le sirene dell'Iron Dome e Israele risponde.

La guerra non è finita finché non è finita, come una partita: e qui, essa è sottoposta a rinnovate richieste da parte della Jihad, piccata dai suoi scarsi successi, vergognosa di mostrare al suo sponsor iraniano il bianco della bandiera che sta alzando di fatto. È vero: in questi quattro giorni, e specie ieri, non pochi edifici sono stati colpiti e danneggiati dai quasi mille missili lanciati complessivamente, ma i danni non massicci e soprattutto l'assenza di vittime, con la perdita gigantesca dei due maggiori leader militari della Jihad per mano delle unità speciali israeliane, sono imbarazzanti.

L'accordo, ovviamente concordato con il padrone di casa di Gaza, Hamas, prevede: nessuno scambio di prigionieri anche se l'Egitto promette di «interessarsi» a Bassam al Saadi, arrestato a Jenin e causa iniziale del conflitto; riapertura di Gaza, incluso l'ingresso di 14mila lavoratori che vengono ogni giorno in Israele; elettricità, servizi vari di rifornimento; libertà a Israele di arrestare terroristi nei Territori senza suscitare vendette a Gaza (come è successo nei giorni scorsi con al Saadi). Condizioni cui la Jihad all'ultimo momento ha aggiunto la garanzia dell'Egitto a che Israele consideri le sue richieste sui prigionieri, e cessi gli attacchi a Gaza. Un modo di gonfiare i muscoli di nuovo, che ottiene uno scarso effetto. La Jihad islamica esce battuta dallo scontro, troppo perché la tregua sia sicura. E lo scenario futuro di Gaza, fumoso. Finché la Striscia resterà quel nido di terrorismo che Hamas nutre d'odio ogni giorno, dove i giovani non hanno altra prospettiva che quella di sparare missili o partecipare ad azioni terroristiche dentro Israele, nessuna guerra potrà dirsi davvero conclusa.

Israele ha vissuto una nuova puntata della vicenda che si rinnova dallo sgombero della Striscia voluto da Ariel Sharon nel 2005 con le migliori intenzioni di pace, rivelatosi poi un vulcano di guerra. Ogni puntata ambisce ad essere l'ultima, tutti i primi ministri promettono che la loro deterrenza sarà ottimale, ma l'odio per Israele è l'unica fabbrica produttiva di Gaza, la sua ragione di vita. Stavolta, come del resto tre anni fa, per cui il conflitto ne fu, come oggi, abbreviato, Hamas è rimasto fuori dal gioco. Ha lasciato che il suo concorrente minore fosse strapazzato, e anche che dimostrasse una sua certa incapacità a gestire i missili forniti o assemblati in loco con l'intervento iraniano. Iron Dome (Scudo di acciaio) ha annullato il 97 per cento dei lanci. Ha anche lasciato che l'Iran e la Russia (unico dei grandi Paesi a dichiarare il suo supporto per i palestinesi fin dall'inizio, mentre il ritegno internazionale è stato generale) giocassero il loro gioco mediorientale senza sciupare il nesso con i Paesi sunniti: dopo tutto, è difficile per questi Paesi stare dalla parte della Jihad islamica quando il loro peggior nemico è l'Iran, lo sponsor che controlla la Jihad.

Israele ha tirato la botta iniziale eliminando al Jabari e poi al Mansouri, la testa del serpente. La più nuova delle vittorie da mostrare alla stampa internazionale è che il missile che ha ucciso i bambini di Jabalia era della Jihad. L'ha fatto con il film: i missili partono da Gaza, uno cade su Jabalia, mentre Israele non spara. La solita condanna internazionale quindi si è sgonfiata.

Ora che succederà? Considerare Hamas il mallevadore di questa tregua, persino il garante? Sembra più realistico sapere che Hamas ha solo fatto i suoi interessi, che non coincidono con quelli della Shia iraniana. Israele ha giocato bene una guerra tattica, attento a non far danni collaterali; la Jihad islamica è raggomitolata, ferita in un angolo. Hamas aspetta e guarda, e non si è fatto male. Il seguito, alla prossima puntata.

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