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La missione di Draghi: governare fino al 2023. Ma a colpi di fiducie

La maggioranza è bulare ma non si può fidare dei partiti, sia pure meno riottosi

La missione di Draghi: governare fino al 2023. Ma a colpi di fiducie

All'ultima conta, quella sul decreto riaperture, i sì alla Camera sono 466 e i no dieci volte di meno. Maggioranza bulgara, si sarebbe detto una volta, esecutivo in salute: ma allora, c'era davvero bisogno di porre la fiducia? La risposta di Palazzo Chigi è «certo» perché «in questa fase non si può correre nemmeno il minimo rischio». Mario Draghi governa, in un certo senso «regna», domina la scena sul vuoto attuale dei partiti, però considera fragile la base politica. «Non voglio problemi, provvedete», ha spiegato, e così Federico D'Incà, responsabile dei Rapporti con il Parlamento, ha provveduto: fiducia, plebiscito, sotto con un altro provvedimento.

Insomma, non disturbate il manovratore, soprattutto adesso che si vedono i frutti della svolta: gli italiani si vaccinano, gli ospedali si svuotano, i ristoranti si riempiono e, come hanno detto lunedì il premier e il ministro Daniele Franco, per la prima volta nell'era Covid «il Paese è in ripresa economica». E non basta: a quanto pare i duellanti hanno riposto le armi. Infatti, dopo una serie di pesanti scambi polemici, Pd e Lega da un paio di settimane hanno vistosamente abbassato il livello di conflittualità perché i sondaggi non premiavano il loro atteggiamento muscolare. O stai all'opposizione, come Giorgia Meloni, o stai in maggioranza e allora, per la gente che oggi osserva e domani ti vota, non puoi bucare le gomme della macchina nella quale viaggi con tanto di ministri e sottosegretari.

Enrico Letta forse lo ha capito, anche se un bel pezzo del partito pare ancora nostalgico di Conte. Ma l'altro mezzo, capitanato da Lorenzo Guerini, lo tiene ancorato all'esecutivo. E lo ha compreso, sembra, pure Matteo Salvini, che nel giro di un mese si è trasformato da partner riluttante e riottoso a federatore del centrodestra di governo e principale sponsor di SuperMario. Infatti ha smesso di puntare su elezioni in autunno e di candidare Draghi per il Quirinale. Dalla felpa alla grisaglia europeista il passo è ancora lungo, però ora per il leader della Lega il presidente del Consiglio deve restare in carica fino al 2023 e fare le riforme. Qualche problema può sempre arrivare dai Cinque Stelle, ma al momento sono troppo divisi per minacciare la stabilità.

E così Draghi, passati i primi mesi turbolenti, si trova a vivere una luna di miele tardiva. Una pax mariana che secondo molti osservatori durerà almeno fino alla corsa per il Colle. Non che prima il presidente del Consiglio si agitasse un granché: fin dalle trattative a Montecitorio sulla squadra, si è tenuto ben alla larga dalle lotte tra i partiti della sua coalizione e dalle diatribe interne. Li ha fatti sfogare, litigare, piantare bandierine, apparire in tv. Li ha ricevuti, ascoltati, compresi, tollerati, ha incassato i distinguo e assorbito le critiche: tanto al dunque sui provvedimenti importanti ha sempre deciso Palazzo Chigi. Il premier capisce benissimo le esigenze di visibilità delle forze politiche e rispetta i travagli. Lui lascia fare e si concentra sulla missione che gli ha affidato il capo dello Stato, salvare l'Italia dal virus e dalla crisi.

«Siamo sulla buona strada ma non ancora al traguardo», queste le parole oggi di Sergio Mattarella a Milano. E Draghi è d'accordo, ci sono i primi segnali positivi, tuttavia la messa in sicurezza del Paese è un operazione lunga e difficile. Dalla giustizia alla pubblica amministrazione, dalla scuola alla transizione ecologica, le riforme per attivare ai 240 miliardi del Recovery sono ancora da realizzare. Quindi ragazzi calma e testa sui dossier.

E tanti voti di fiducia, perché sui partiti non ci si può contare.

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