Una spy story dai contorni sfuggenti. Quando lo arrestarono, il 14 maggio dell'anno scorso, Antonello Montante rimase barricato quasi un'ora nel suo appartamento di Milano, i poliziotti fuori in attesa che aprisse. In quel frangente Montante, ex presidente di Sicindustria e paladino dell'antimaa, buttò dal balcone sei sacchetti contenenti numerose pen drive che aveva cercato di distruggere. Non ci riusci, ma nulla si è saputo nemmeno della perizia ordinata su quel materiale dalla procura di Caltanissetta. In Sicilia si dice che in quelle «memorie» ci fosse anche copia delle telefonate, intercettate, fra il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano e l'ex presidente del Senato Nicola Mancino. Dialoghi che non sono mai arrivati nell'aula del processo sulla trattativa Stato maa perché eliminati prima per ordine della Corte Costituzionale, ma forse, chissà, Montante era riuscito a impossessarsi di quelle carte assai ghiotte.
Difficile raccapezzarsi nel cosiddetto sistema Montante; squillanti proclami sulla legalità e, dietro le quinte, attività opache e oblique. Ma ora arriva un primo punto fermo: la condanna, durissima, a 14 anni per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e allo spionaggio. Una pena più alta di quella chiesta dall'accusa, ancora di più perché il gup di Caltanissetta ha emesso la sentenza con il rito abbreviato che garantisce lo sconto di un terzo. E proprio la scelta dell'abbreviato, che congela le prove, spiega perché il mistero delle pen drive non sia stato affrontato dal gup.
Con Montante, che è pure indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, sono stati condannati alcuni esponenti del suo cerchio magico: 6 anni e 4 mesi per Diego Di Simone, il capo della security degli industriali che sfruttava il suo passato di poliziotto per mettere il naso nell'attività dei pm; 4 anni per il funzionario della questura di Palermo Marco De Angelis, 3 anni per l'ex comandante provinciale della Guardia di finanza Gianfranco Ardizzone. Lavoravano tutti per lui e il suo network, fra affari e trame da 007, come avevano denunciato sette collaboratori di giustizia. È dalle loro testimonianze, raccolte a partire dall'estate del 2014, che è nata un'indagine complessa, a tratti tortuosa, su un imprenditore stimato: per dieci anni Montante aveva sfilato contro il racket insieme ai magistrati.
Proprio questo aspetto è stato al centro di un ulteriore passaggio: l'avvocato Carlo Taormina ha giocato la carta della rimessione chiedendo il trasferimento del dibattimento in un'altra sede, in cui non ci fosse un pregiudizio contro l'imputato eccellente, rotolato nella polvere.
Non è andata cosi ed è stato il giudice di Caltanissetta a leggere il verdetto dopo una camera di consiglio breve, solo due ore e mezzo. Quattordici anni. Per il gup è tutto vero e tutto dimostrato, a cominciare dalle decine di accessi abusivi - una media di nove ogni tre mesi per sette anni - nei data base riservati dello Stato e delle forze dell'ordine.
Montante non è venuto ad ascoltare l'ultimo atto, ma è rimasto a casa, ai domiciliari con tanto di braccialetto elettronico, come in tutte le udienze precedenti. In silenzio.
A
Caltanissetta prosegue anche l'altro processo, con rito ordinario, a talpe e presunti fiancheggiatori di primissimo piano. Fra questi l'ex presidente del Senato Renato Schifani e l' ex numero uno dell'Aisi Arturo Esposito.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.