Cronache

Morto Achille Lollo. Porta con sé i segreti di Primavalle

Aveva 70 anni, militante di Potere operaio, era uno degli autori del bestiale rogo del '73

Morto Achille Lollo. Porta con sé i segreti di Primavalle

Il rogo e la tentata strage di Primavalle del 16 aprile 1973 avevano una firma, con tanto di rivendicazione: «Brigata Tanas Guerra di classe -Morte ai fascisti- la sede del Msi Mattei e Schiavoncino colpiti dalla giustizia proletaria». Era talmente mirata e giusta quella giustizia che storpiava persino il nome di uno dei bersagli: Schiaoncin, braccio destro di Mario Mattei, era quello vero e il particolare, come vedremo, è significativo.

Gli assassini nascosti dietro quella sigla si chiamavano Achille Lollo, Manlio Clavo e Marino Grillo, tre militanti di Potere operaio, ma, come titolerà Lotta continua a cadaveri appena bruciati, «La provocazione fascista oltre ogni limite è arrivata al punto di assassinare i suoi figli». Quanto al Manifesto: «È un delitto nazista. Fermato un fascista»...

Quasi mezzo secolo dopo, di quel rogo tragico e bestiale nella sua stupidità ancora non si sa tutto, anche se si sa molto. Ma fra il primo processo del 1975, conclusosi con un'assoluzione per insufficienza di prove, e un secondo d'appello che rovescia il verdetto passeranno undici anni e ce ne vorranno ancora venti prima che Lollo, espatriato come gli altri pressoché da subito, ammetta dal Brasile che sì, quella sera, davanti a quella porta c'erano loro, e non solo loro: erano addirittura in sei, i componenti di un collettivo creato qualche mese prima e dove aspiranti proletari e veri borghesi si davano la mano. C'era Diana Perrone, la figlia di Ferdinando Perrone e la nipote di Sandro Perrone, gli allora proprietari del quotidiano Il Messaggero; c'era Elisabetta Lecco, che poi diverrà un'affermata gallerista; c'era Paolo Gaeta, futuro gestore di enoteche... In quel 2005 in cui verranno tirati in causa, reagiranno con lo sdegno di classe e di censo che gli è proprio: quel Lollo è un poveraccio, un borgataro, brutto, sporco e cattivo, insomma...

Adesso che Achille Lollo è morto settantenne in un ospedale di Bracciano, si può convenire con Giampaolo Mattei, il fratello di Virgilio e Stefano Mattei che morirono bruciati vivi, sul fatto che «si è portato molte verità scomode nella tomba», e tuttavia, il Rogo di Primavalle resta emblematico per il clima intellettuale che si creò intorno a esso.

Potere operaio curò un libretto, Primavalle, incendio a porte chiuse, in cui si parlava «di un oscuro episodio, nato e sviluppatosi nel verminaio della sezione fascista del quartiere». Come era scritto nell'introduzione, avevano contribuito «alla realizzazione di questa contro-inchiesta un gruppo di giornalisti democratici» e del resto da Alberto Moravia a Dario Bellezza, da Elio Pecora a Ruggero Guarini, la crème dell'intellighentia di sinistra romana dell'epoca, saranno tutti lì ad alzare il calice nella casa di Fregene dei genitori di Lollo al tempo del primo processo...

Quarant'anni dopo sarà proprio Guarini a raccontare come quel libretto era nato. Ci aveva lavorato lui, capo dei servizi culturali del Messaggero, insieme con due colleghi, un redattore capo e un inviato, aiutando quelli di Potop «a spazzolare stilisticamente un testo che avevano messo in piedi, scritto in un sinistrese indigesto». Lo aveva fatto perché degli amici del Movimento con cui la sera giocava a poker gli avevano detto: «Credi davvero che dei ragazzi colti, intelligenti, preparati come noi, dei marxisti che leggono i Gundrisse di Karl Marx, possano individuare in un povero netturbino, segretario di sezione dell' Msi di Primavalle, un nemico di classe?». Infatti Lollo, Clavo e Grillo, la parte per il tutto potoppino, erano talmente a loro agio con il tedesco dei «Gundrisse» da non saper nemmeno scrivere correttamente, come abbiamo ricordato all'inizio, il nome italiano di uno dei missini da abbattere...

Guarini dirà allora che lui all'innocenza di Lollo e compagni ci credeva: peccato non ci credessero proprio gli amici del Movimento andati a chiedere il suo aiuto.

In La generazione degli anni perduti, uno di essi, Lanfranco Pace, dirà trent'anni dopo: «Fummo costretti ad assumerne le difese nonostante la loro colpevolezza e così montammo una controinchiesta. Perché? Perché non c'erano alternative». E ancora: «Non ricordo tanta comprensione né tanta solidale vicinanza come quella volta che predicammo il falso».

Superficialità, arroganza intellettuale, il gusto di civettare con la rivoluzione, senza firmarsi, non si sa mai, ma emotivamente e culturalmente sentendosi militanti dell'Idea, anche questo fu, fra una partita di poker e l'altra, il giornalismo italiano dell'epoca, un correre in aiuto del vincitore senza troppo preoccuparsi se il vinto rimasto morto sul terreno meritasse almeno una pietosa e onorevole sepoltura.

È anche per questo che ogniqualvolta sento parlare di controinformazione metto idealmente mano al revolver che non ho.

Commenti