È morto Arnaldo Forlani, l'ultimo grande della Dc

Due volte segretario della Dc, una breve esperienza da primo ministro. Forlani, l'ultimo esponente del Caf, è deceduto oggi all'età di 97 anni

È morto Arnaldo Forlani, l'ultimo grande della Dc

È morto oggi, nella sua abitazione di Roma, l’ultimo dei grandi leader della Dc, Arnaldo Forlani. Ne dà notizia il figlio Alessandro. Presidente e vicepresidente del Consiglio dei ministri, ministro degli Affari esteri, ministro della Difesa e delle Partecipazioni statali. ha ricoperto il ruolo di segretario della Democrazia Cristiana nel quadriennio 1969-1973 e poi nel tra il 1989 e il 1992.

Gli esordi nella Democrazia Cristiana

Nato a Pesaro nel ’25, inizia la sua militanza nel partito ancora ventenne e nel 1955 diventa direttore della sezione Studi, Propaganda e Stampa (Spes). Tre anni più tardi entra alla Camera come esponente di punta della corrente di Amintore Fanfani, nel 1962 viene eletto vicesegretario nazionale dell Dc. Nel 1968 diventa ministro per la prima volta assumendo la guida del dicastero delle Partecipazioni statali, ma è il 1969 l’anno della svolta. A San Genesio stipula il patto con Ciriaco De Mita un patto per prendere in mano le redini del partito e dar vita a una “rottamazione” ante litteram. I due vengono soprannominati “i gemelli di San Genesio” ma il loro patto dà i suoi frutti: quello stesso anno Forlani viene eletto segretario e De Mita assume la carica di suo vice.

Forlani eletto segretario Dc per la prima volta

Nel 1970 si svolgono per la prima volta le elezioni Regionali in cui la Dc ottiene il 37% dei voti a livello nazionale, superando di dieci punti il Pci e diventando il primo partito in tutte le Regione ad eccezione dell’Emilia Romagna, la Toscana e l’Umbria. Nonostante i buoni risultati nelle urne, l’anno successivo Forlani non riesce a far eleggere Amintore Fanfani presidente della Repubblica e a fermare l’avanzata delle destre alle elezioni politiche del 1972, le prime a svolgersi anticipatamente rispetto alla scadenza naturale della legislatura. Ed è così che l’anno seguente Fanfani prende il suo posto nel partito e rilancia il centrosinistra con Mariano Rumor a capo del governo. Al Congresso del 1976 Forlani cerca di riprendersi la segreteria del partito in rappresentanza del blocco moderato e contrario all’alleanza col Pci ma viene sconfitto, per pochi voti, da Beniamino Zaccagnini, rappresentante dell’ala sinistra della Dc. Nonostante l’iperattivismo politico, era noto per la sua pigrizia tanto che egli stesso una volta disse: "Il lavoro mi affascina, potrei guardarlo per ore", mentre i suoi avversari lo descrivono come una persona apparentemente statica ma scaltra. Il giornalista Gianfranco Piazzesi lo soprannominò “Coniglio Mannaro”, mentre Carlo Donat Cattin disse di lui:"Arnaldo è come il Dio di Aristotele, il motore immobile, dovrebbe cercare di essere più motore e meno immobile". Frase che pare essere appropriata per il personaggio che, una volta disse: "la Dc se sceglie, sbaglia".

Forlani nominato primo ministro

Al di là delle ‘malelingue’ nel 1976 Forlani viene nominato ministro degli Esteri e nel 1980, a seguito della vittoria dell’ala moderata di Flaminio Piccoli al Congresso, diventa primo ministro. Durante il suo governo Papa Giovanni Paolo II subisce l’attentato per opera di Alì Agca, mentre la Dc perde il referendum sull’aborto e Forlani è costretto alle dimissioni dopo che scoppia lo scandalo della loggia P2 perché si scopre che alcuni suoi ministri ne fanno parte. Il 1982 segna un’altra sconfitta congressuale per Forlani che si vede mancare l’appoggio di Fanfani, sostenitore del vincitore Ciriaco De Mita. Sono gli anni dell’ascesa del Psi di Bettino Craxi come premier, di cui Forlani è vicepresidente mentre, sul fronte interno, si fa promotore di una nuova corrente democristiana di stampo centrista, Alleanza Popolare".

La seconda volta alla segreteria Dc e la nascita del Caf

Nel 1989 si celebra il XVIII Congresso della Dc all'ultimo che vede l'elezione di Forlani a segretario con l’85% dei voti. Una vittoria decisa a tavolino, o meglio a tavola nel corso di una cena tenutasi nella villa di Cirino Pomicino sull'Appia Antica. Qui i vertici della DC, dopo un'interminabile "caminetto" convergono su Forlani quale candidato unico di tutte le correnti. Alle elezioni europee dello stesso anno la DC ottiene il 32,9%, riconquistando il primato perso nel 1984 e, di lì a poco, nasce il Caf, l’alleanza politica tra Craxi, Andreotti e lo stesso Forlani, tesa a blindare la maggioranza del pentapartito e fortificare i rapporti con il Psi. Un tentativo che si scontra con il complesso panorama politico contrassegnato dal crollo del muro di Berlino, dai primi successi della Lega Nord, dai referendum di Mario Segni per modificare la legge elettorale. Ma a sconvolgere il governo è soprattutto l’ingresso dei comunisti a Palermo nella giunta guidata dal democristiano Leoluca Orlando il quale, di lì a breve, uscirà dalla Dc per fondare il movimento ‘La Rete’.

La mancata elezione a presidente della Repubblica

La fine della Prima Repubblica è vicina e Tangentopoli è alle porte. Forlani, alla fine del 1991, indìce a Milano la Conferenza nazionale programmatica della DC nella quale avverte che il sistema sta franando e individua possibili soluzioni per scongiurare la crisi. Propone l’introduzione della sfiducia costruttiva e una riforma della legge elettorale proporzionale che preveda un ‘correttivo maggioritario’. Nel corso del suo discorso rivendica con orgoglio la storia gloriosa del partito: “Non saremo noi – dice - a ripiegare la bandiera della Dc. La bandiera di Luigi Sturzo, di Alcide De Gasperi, di Aldo Moro. Come l’abbiamo ricevuta da loro, così noi la trasmettiamo ai giovani. Non abbiamo da cambiare i nostri simboli né da rinnegare la nostra storia. Non per orgoglio di partito, retorico o male inteso, ma perché con la Dc l’Italia è stata salvata. Con la Dc l’Italia è cresciuta, con la Dc difenderemo ancora l’unità della nazione e la sua libertà”. L’anno seguente ha inizio l’inchiesta Mani Pulite e, alle elezioni politiche del 5 aprile, la Dc perde il 5% ma la più grande sconfitta personale per Forlani arriva in maggio, in occasione del voto per il presidente della Repubblica. In quei giorni dice: "Se non vengo eletto presidente sarà la fine della Prima Repubblica". Una frase premonitrice che prelude al suo ritiro nella corsa per il Quirinale che termina il 16 maggio, al sesto scrutinio, quando gli mancavano solo 29 voti per essere eletto.

Lo scoppio di Tangentopoli e il ritiro dalla politica

La sua carriera politica termina con l’inizio del processo Enimont che lo vede imputato e per il quale venne condannato a 2 anni e 4 mesi di carcere per finanziamento illecito. Pena scontata con l'affidamento in prova al servizio sociale ed espiata collaborando con la Caritas di Roma. “Bettino andò ad Hammamet. Ognuno ha il suo carattere. Non tutti hanno la vocazione socratica a bere la cicuta anche sapendo di essere stati condannati ingiustamente”, dirà in seguito Forlani che, in un’altra occasione ammetterà che su Tangentopoli “Non abbiamo reagito come avremmo dovuto. Avevamo un complesso di soggezione nei confronti della magistratura e della giustizia. Nonostante la storia dei cristiani fosse partita da un processo e da una sentenza di morte che ha tagliato in due la storia".

Certo è che di quel periodo gli italiani ricordano soprattutto l’interrogatorio in cui l’allora pm Antonio Di Pietro lo incalza con domande continue per farlo cadere in contraddizione e lui balbetta, suda e si difende addossando tutte le responsabilità sul tesoriere, Saverio Citaristi.

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