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Myanmar, imposta la legge marziale per fermare la marea pro-San Suu Kyi

Migliaia di persone ancora in piazza. Ma la giunta vieta gli assembramenti di oltre 5 persone e minaccia di usare la forza

Myanmar, imposta la legge marziale per fermare la marea pro-San Suu Kyi

Non si fermano le proteste contro il golpe militare in Myanmar, dove decine di migliaia di persone sono scese in strada nelle principali città del Paese per il terzo giorno consecutivo. I manifestanti chiedono a gran voce il rispetto dell'esito delle elezioni del novembre scorso, vinte in modo schiacciante dal National League for Democracy (Nld) con ben 396 dei 476 seggi in palio, la liberazione della leader Aung San Suu Kyi e degli altri membri del partito arrestati negli ultimi giorni. I militari invece usano il pugno di ferro mentre promettono «elezioni libere», come ha fatto il generale Min Aung Hlaing, capo delle forze armate salite al potere con il colpo di Stato.

Proprio per cercare di stroncare le proteste, l'esercito ha imposto la legge marziale in diverse città, vietando gli assembramenti di più di cinque persone. In diretta televisiva, i militari hanno anche minacciato di usare la forza se «le manifestazioni di dissenso continueranno» e ha avvertito che saranno utilizzate misure legali per «prevenire qualsiasi reato che danneggi la stabilità dello Stato e la sicurezza pubblica». In vari quartieri di Mandalay, uno dei centri dove le proteste sono più massicce, è stato imposto il coprifuoco dalle 8 di sera alle 4 del mattino.

A Yangon, la città più grande del Paese, i dimostranti, compresi molti monaci buddisti, proprio come durante la Rivolta dello Zafferano del 2007, si sono radunati davanti al municipio, nel quartiere commerciale di Hledan e davanti alla residenza della Suu Kyi. Nello stesso momento nell'attuale capitale Naypyidaw, la «Sede dei Re», considerata fino a oggi la roccaforte dell'esercito, la polizia in assetto antisommossa e dotata di fucili d'assalto, ha usato gli idranti per disperdere la folla. Secondo molte testimonianze alcune persone sarebbero rimaste ferite.

La storia della nuova capitale è interessante. Nel 2006, dopo essere stata costruita in gran segreto, Naypyidaw, situata nella parte centrale del Paese, è diventata il centro di comando operativo della giunta militare al posto di Yangon. Una decisione arrivata all'improvviso, che aveva colto tutti di sorpresa. Non si sa se questa mossa sia stata basata su fattori militari politici ed economici attentamente valutati o se c'entrano solamente le superstizioni del generale Than Shwe, in quel momento capo del Consiglio di Stato per la Pace e lo Sviluppo, l'organismo supremo della dittatura militare e delle forze armate, che era fissato con l'astrologia. Non a caso l'annuncio ufficiale dell'istituzione della nuova capitale è avvenuto l'11 novembre 2005, alle 11 del mattino, mentre 11 battaglioni militari, trasportati da 1100 autocarri, accompagnavano 11 ministri verso Naypyidaw. La frequenza del numero 11 era stata scelta proprio dall'astrologo personale di Than Shwe.

In passato è stato anche ipotizzato che i militari temessero una possibile invasione marittima da parte di una potenza straniera, in particolar modo dagli Stati Uniti, o proprio una nuova rivolta popolare, come quella nel 1988, nella quale migliaia di manifestanti avevano circondato il War Office dell'ex capitale. Al tempo i massimi leader dell'esercito erano rimasti barricati in una sala operativa protetti da mura fortificate e mitragliatrici pronte all'uso.

Mentre sono previste altre manifestazioni di protesta per oggi e si teme l'uso della forza da parte dei militari, l'Unione Europea e la Gran Bretagna hanno chiesto una nuova riunione d'urgenza del Consiglio dei diritti umani dell'Onu.

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