Nadezhdin escluso dalle elezioni: Putin fa fuori anche il suo unico rivale

Raccolta firme irregolare: candidatura non ammessa. Lo Zar come Stalin

Nadezhdin escluso dalle elezioni: Putin fa fuori anche il suo unico rivale
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Negli anni Ottanta, nella Germania Est dove era stato inviato dal KGB, Vladimir Putin non fece solo pratica di spionaggio: imparò anche le regole della «democrazia guidata», molto simili a quelle che applica oggi nella Russia di cui ormai è sulle orme di Stalin presidente a vita. Funziona così: sono ammessi a finte elezioni soltanto partiti addomesticati disposti a perderle in favore del partito che deve vincerle sempre. Quello del capo del regime. I leader di questa finta opposizione fanno carriera a spese dello Stato e ottengono favori personali, mentre chiunque provi a sfidare Putin per davvero si ritrova immancabilmente impedito con le più seriose giustificazioni formali o, nei casi più ostinati, finendo in galera a partecipare alle elezioni.

È successo ieri a Boris Nadezhdin, candidato del partito Iniziativa Civica, di cui in queste settimane si era parlato come di un possibile serio sfidante al cosiddetto zar. Le immagini delle lunghe file di cittadini che sfidavano il gelo per firmare per la sua candidatura alla presidenza avevano fatto il giro del mondo e messo il Cremlino in imbarazzo: come osava questa gente smentire il mito di Putin unico e popolarissimo leader nazionale? Nadezhdin aveva ampiamente superato il limite di centomila firme richieste dalla legge per presentarsi. La Commissione elettorale centrale russa, però, ha reso noto di avere riscontrato (dopo verifiche che immaginiamo meticolosissime) irregolarità formali in diverse migliaia di esse: un numero sufficiente a bocciare la candidatura.

Questa è però solo la versione di un potere dispotico che dispone di tutti gli strumenti, legali e polizieschi, per eliminare gli avversari sgraditi: quella vera è che lo sgraditissimo Nadezhdin semplicemente non doveva essere ammesso, come a suo tempo Aleksei Navalny (attualmente all'ergastolo in Siberia per «estremismo e terrorismo») e più di recente la giornalista Ekaterina Duntsova. Anche le firme da loro raccolte erano irregolari, guarda caso.

Nadezhdin era il primo a sapere che, se avesse potuto sfidare Putin, non gli sarebbe mai stato consentito di competere alla pari: tutti i media sono ormai controllati dal regime, criticare la guerra all'Ucraina può costare anni di carcere e perfino trovare una tipografia disposta a stampare dei manifesti è stata un'impresa, essendo queste aziende state «consigliate» di non disturbare il manovratore. Nonostante ciò, l'uomo che ha osato candidarsi con un programma esplicitamente anti Putin (no alla guerra, restituire le libertà civili, dialogo amichevole con l'Occidente) gioca la sua partita. E dimostra che Putin ha talmente paura di quelli come lui da non osare sfidarli in un libero confronto.

Questo riguarda anche il tristo campo dei filo russi italiani.

Avendo Nadezhdin dimostrato che un'altra Russia, liberale e filoccidentale, esiste e che solo Putin le impedisce a forza di emergere nel timore di ritrovarsi nudo, d'ora in avanti abbiano il coraggio di definirsi per quello che sono: non filo russi ma filo Putin, ergo anti occidentali. E meno che mai pacifisti, visto che Nadezhdin vuole la fine della guerra e Putin solo la fine violenta dell'Ucraina.

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