O ttantasei pagine, in tutto. Tre ore e mezzo circa di deposizione, trascritta a tempo record - l'udienza si è svolta martedì scorso - e resa pubblica subito. Non perché ci sia stata una fuga di notizie, ma perché il diretto interessato, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha messo a disposizione di tutti, in primo piano sul sito del Quirinale, il verbale della sua testimonianza al processo sulla trattativa Stato-mafia. Eccola.
«IO SONO IL DOMINUS»
È il presidente della Repubblica, il testimone Napolitano Giorgio che come un cittadino qualunque declina le proprie generalità e legge la formula di rito. Ma nel gioco delle parti che regola il processo è lui, nella Sala del Bronzino adibita a aula giudiziaria, il padrone di casa. Lo sa il presidente della corte d'Assise, Alfredo Montalto, che finite le domande dell'accusa, chiede se sia necessaria una pausa: «Lei è il dominus e noi ci atteniamo alle sue indicazioni». E Napolitano conferma: «Io sono dominus, comunque credo di avere bisogno al massimo dieci minuti».
IL RAPPORTO CON D'AMBROSIO
Come scritto nella lettera con cui ha cercato di evitare la deposizione al processo, Napolitano non ha nessun retroscena da raccontare rispetto alla lettera di dimissioni (rifiutate) che il suo consigliere giuridico gli presentò il 18 giugno del 2012. Il capo dello Stato ricorda che con Loris D'Ambrosio c'era un «rapporto di affetto e di stima, sì» ma non un «rapporto di carattere personale in senso più ampio o più specifico. Insomma, non avevo né con D'Ambrosio né con altri conversazioni a ruota libera».
«UN FULMINE A CIEL SERENO»
È un Loris D'Ambrosio amareggiato per la pubblicazione delle telefonate tra lui e Nicola Mancino, quello che Napolitano descrive. «La lettera ricorda per me fu un fulmine a ciel sereno, ne rimasi molto colpito, ci riflettei e il giorno dopo lo pregai di venire nel mio ufficio, avendo già redatto una risposta che gli consegnai» E ancora: «Era una lettera di un uomo sconvolto, scritta d'impulso, con l'obiettivo di dimettersi e però sapendo che oramai era dentro un certo tipo di movimento di opinione, chiamiamolo così, o comunque di campagna giornalistica che lo stava ferendo a morte».
«ERA UN MAGISTRATO LEALE»
Le insistenze sul retropensiero di D'Ambrosio a un certo punto infastidiscono Napolitano: «Detta una volta per tutte, scusi signor Presidente, Loris D'Ambrosio era un magistrato di tale qualità, di tale sapienza giuridica di tale lealtà istituzionale, che se lui avesse avuto in mano degli elementi che non fossero solo ipotesi, lui sapeva benissimo quale era il suo dovere, andare all'autorità giudiziaria competente e fornire notizie di reato o elementi utili a fini processuali. Evidentemente queste cose non le aveva, tanto meno le disse a me».
«RISPETTATE I LIMITI...»
Il monito è garbato, ma la sostanza è un cartellino giallo ai giudici: «Vorrei pregare la Corte e voi tutti presenti di comprendere che da un lato io sono tenuto e fermamente convinto che si debbano rispettare le prerogative del capo dello Stato. Dall'altro lato mi sforzo per dare al tempo stesso la massima trasparenza al mio operato e il massimo contributo all'amministrazione della giustizia. Sono, come dire, certe volte proprio su una linea sottile, quello che non debbo dire non perché abbia qualcosa da nascondere, ma perché la Costituzione prevede che non lo dica». E il pm Teresi fa le scuse postume a D'Ambrosio: «Non si è mai pensato da parte della pubblica accusa che D'Ambrosio fosse minimamente coinvolto».
«IL 41 BIS? LEGGETE GLI ATTI»
Più volte il capo dello Stato si trova costretto a spiegare il funzionamento delle istituzioni e a invitare i pm ad andare a leggere gli atti parlamentari. È il caso del dibattito sul 41 bis, che Napolitano, all'epoca presidente della Camera, non ricorda nei dettagli: «Il presidente della Camera non entra nel merito dei provvedimenti di legge sottoposti all'esame del Parlamento. Posso avere un ricordo piuttosto vago del tutto».
L'ASSILLO MANI PULITE
La mafia certo era importante. Ma nel '93 c'era anche Mani pulite. «Vorrei dire, se può interessare la Corte e la pubblica accusa, io nel 1992 per molti mesi, fino all'anno '93 inoltrato, ebbi l'assillo delle domande di autorizzazione a procedere come ricaduta dell'inchiesta Mani pulite della procura di Milano».
CAPACI E IL QUIRINALE
Napolitano ricorda l'elezione di Scalfaro, due giorni dopo l'uccisione di Falcone: «Tutti ricordano che fu talmente forte l'impatto emotivo della strage di Capaci che ne venne un forte stimolo direi anche morale a trovare l'intesa necessaria per eleggere il nuovo presidente della Repubblica».
GLI ATTENTATI DEL '93
Per i pm è il cuore della testimonianza di Napolitano. Ma il capo dello Stato non aggiunge nulla che già non si sappia da 21 anni, da quelle bombe del '93 tra Roma, Firenze e Milano: «La valutazione comune alle autorità istituzionali in generale e di Governo in particolare, fu che si trattava di nuovi sussulti di una strategia stragista dell'ala più aggressiva della mafia, si parlava allora in modo particolare dei corleonesi, e in realtà quegli attentati, che poi colpirono edifici di particolare valore religioso, artistico e così via, si susseguirono secondo una logica che apparve unica e incalzante, per mettere i pubblici poteri di fronte a degli aut-aut, perché questi aut-aut potessero avere per sbocco una richiesta di alleggerimento delle misure soprattutto di custodia in carcere dei mafiosi o potessero avere per sbocco la destabilizzazione politico-istituzionale del paese, e naturalmente era ed è materia opinabile». «Ricatto, ho capito bene?», chiede Di Matteo. «Ricatto o addirittura pressione a scopo destabilizzante di tutto il sistema».
CIAMPI E IL RISCHIO GOLPE
Anche la storia dei timori di colpo di Stato nell'estate del '93 non è nuova. E Napolitano ricorda i timori di Ciampi per il black out delle linee di Palazzo Chigi: «Poteva considerarsi un classico ingrediente di colpo di Stato anche del tipo verificatosi in altri paesi lontani dal nostro, questo tentativo di isolare diciamo il cervello operante delle forze dello Stato».
VIOLANTE E CIANCIMINO
Napolitano dice di essere stato informato dall'allora presidente dell'Antimafia Luciano Violante della richiesta di Vito Ciancimino di essere sentito dalla Commissione. «Ricordo vagamente, sì». Ma alla domanda se Violante lo avesse informato di un ruolo del generale Mori Napolitano risponde secco: «No».
MORI? MAI UN COLLOQUIO
«Il generale Mori l'ho conosciuto di sicuro soltanto ai margini di cerimonie a cui io partecipavo nell'esercizio di varie mie funzioni e lui egualmente partecipava. Non ho mai avuto un colloquio con il generale Mori, mai».
NESSUNA PAURA PER ME
Napolitano ricorda l'allarme attentati per lui e Spadolini nel '93.
Fu l'allora capo della Polizia Vincenzo Parisi a informarlo. La reazione? «Non mi scomposi minimamente, perché ho sempre considerato che servire il Paese significa anche mettere a rischio ipotesi di sacrificio della propria vita e guai a farsi condizionare».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.