
Il lutto di Milano per la scomparsa di Re Giorgio è discreto. È triste lo sguardo dei dipendenti dei suoi negozi e dell'azienda. L'abito è quasi sempre scuro. La gentilezza invece è la stessa. Anche nel dolore per la perdita immensa del suo fondatore, Armani si distingue. Per eleganza e sobrietà. Così anche i suoi clienti, e i suoi estimatori.
Non ci sono segni visibili sulle vetrine del quadrilatero. E nemmeno sulle facciate dell'Armani Silos, il museo che ha voluto in un ex quartiere operaio e che ora brulica di avanguardia, e del suo teatro dove oggi ci sarà la camera ardente.
Solo il nastro nero sulla bandiera della sede dell'azienda in via Borgonuovo, a pochi passi dalla casa in cui ha vissuto fino all'ultimo. Nient'altro. Nei negozi di via Manzoni compare un messaggio, destinato, probabilmente, a restare. La sua eredità morale. "Il segno che spero di lasciare è fatto di impegno, rispetto e attenzione per le persone e per la realtà. È da lì che tutto comincia". Firmato: Giorgio Armani.
Nella stessa vetrina dello store di Emporio, a pochi passi dal ristorante e dall'hotel, sempre suoi, tra libri d'arte, fotografia e moda, tra i vasi e le orchidee bianche senza segni di imperfezione, fa capolino proprio lui: una foto della sua figura scura che guarda i passanti con il suo sguardo glaciale eppure dolce. È sulla copertina del libro autobiografico "per amore", un racconto di vita con anche fotografie, e senza troppi filtri. Maglietta e pantaloni neri, in piedi appoggiato al muro con una caviglia sopra l'altra. Sembra rivolgere lo sguardo ai passanti, che da mercoledì si soffermano un po' di più davanti ai negozi. Tra loro c'è anche chi si fa un selfie davanti alla vetrina con indosso una maglietta del brand, come una coppia di spagnoli, e Armani pare sorridere un'ultima volta per quanto sia immensamente popolare nel mondo. Forse ora ancora di più.
Per ore ieri mattina hanno sostato i treppiedi delle telecamere di tutto il mondo davanti alle sedi del suo distretto. Una donna, intercettata da una giornalista, ha ripescato nei suoi ricordi ciò che evocava il nome dello stilista nella sua infanzia: "Un vestito Armani è ciò che sognavo da ragazzina". E non c'è frase che renda meglio l'idea di ciò che il mondo pensa di lui. Alla Rinascente di Milano, dove Armani ha lavorato da ragazzo, qualcuno compra un prodotto personalizzato. "È un profumo, ma la confezione riporta la sua firma, l'ho comprato per averlo un po' insieme a me. Sarà un bel ricordo", dice un turista francese.
Armani era un re che sapeva stare al centro del mondo, fisicamente e intellettualmente, ma è in un ex granaio del 1950 che ha voluto il suo museo, seguendo il progetto direttamente. Ed è nel viale alberato in cui si trova il Silos, in via Bergognone, un tempo un quartiere operaio, che qualcuno si ferma a lasciare fiori e biglietti. È una donna con grandi occhiali scuri a incastrare una rosa bianca tra il fil di ferro che separa le aiuole dai laterizi grigi dell'esterno dell'edificio. Va di fretta, i suoi passi vanno veloci, ma è venuta lo stesso.
Mira, 23 anni, studentessa di architettura in visita in città con il fratello Jacob, sono belgi, scelgono di trascorrere tra gli abiti iconici dello stilista le loro ultime ore in città. Racconta di essere rimasta profondamente colpita dall'allestimento che si fonde con l'architettura minimalista.
"Non era solo moda, era un concetto. Giorgio Armani era immenso. Un artista". Anche una coppia di Seattle, con i figli universitari a Milano per un viaggio in Europa, fa visita al silos: "Chi non conosce Armani? Era un'icona nel mondo". E tale resterà.