Stati Uniti ed Europa da una parte, Russia e Cina dall'altra. Sul caso di Alexei Navalny gli schieramenti sembrano quelli della vecchia guerra fredda. O forse, semplicemente, sono le avvisaglie del nuovo confronto geopolitico: liberalismo occidentale contro autoritarismo euroasiatico. Ieri il neo-insediato presidente Joe Biden, che ha accettato la proposta russa di rinnovare per 5 anni il trattato sulle armi nucleari New Start in scadenza il 5 febbraio, ha fatto sapere di non voler fare sconti sulle questioni che separano i due Paesi, compresa la detenzione dell'oppositore di Vladimir Putin.
Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha invece preso il telefono e chiamato direttamente il presidente russo per dirgli che «l'Ue è unita nella condanna della detenzione di Navalny e chiede il suo rilascio immediato». Tra le richieste anche quella di «un'indagine completa e trasparente sull'attentato ai suoi danni». Sembra un riferimento formale e invece non è così: tra i paradossi in cui si dibatte il Cremlino c'è anche il fatto che sull'avvelenamento di Navalny non è mai stato aperto uno straccio di inchiesta.
A sostegno della nomenklatura ormai sempre più ex sovietica, è arrivata Pechino, attraverso le parole di un portavoce del ministero degli Esteri: «Sosteniamo la Russia nelle sue azioni per mantenere la sicurezza e la stabilità, poiché questo serve gli interessi del popolo russo».
Sicurezza e stabilità per le autorità di Mosca sono messe in pericolo dalle manifestazioni convocate per oggi dallo stesso Navalny in una sessantina di città. Gli uomini di Putin hanno fatto di tutto per reprimere in anticipo ogni protesta: almeno una decina gli arresti in vari centri del Paese, da Mosca a Krasnodar fino a Vladivostok; numerosi e pesanti gli avvertimenti a siti internet e piattaforme social con l'indicazione di non parlare di Navalny. Nelle università gli studenti sono stati avvertiti che la partecipazione li esporrà all'espulsione, in qualche caso sono state organizzate lezioni straordinarie per tenerli lontani dalle strade.
Nonostante gli sforzi in senso contrario, sui social sono state registrate per ora circa 150mila adesioni. Personaggi famosi, come l'hockeysta Artemiy Panarin (attualmente gioca con i New York Rangers) o l'ex calciatore Igor Denisov (più volte eletto giocatore dell'anno) si sono esposti chiedendo la libertà per il dissidente. Quanto a Navalny stesso, dalla prigione di Matrosskaya Tishina, alla periferia di Mosca, ha fatto sapere di non aver nessuna intenzione di suicidarsi (dichiarazione che dovrebbe metterlo al riparo da qualche malaugurato incidente). Il suo avvocato ha chiesto che venga visitato per i problemi alla vista legati all'avvelenamento.
Secondo indiscrezioni le autorità russe avrebbero deciso di cambiare la tattica usata fin qui: anziché trattenerlo
in carcere per brevi periodi, vorrebbero fargli sentire il peso di una lunga detenzione. Nell'udienza prevista in febbraio sarebbero pronti ad avviare un paio di procedimenti con possibili condanne per 13 anni di carcere.
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