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La "Nazione" che spaventa? È nella Carta

I marxisti si rivolgevano al proletariato, i comunisti al popolo, i postcomunisti come D'Alema al Paese. Se proprio risulta indigesto citare l'Italia, a sinistra l'allergia diventa insostenibile quando un patriota osa pronunciare la parola "Nazione".

La "Nazione" che spaventa? È nella Carta

I marxisti si rivolgevano al proletariato, i comunisti al popolo, i postcomunisti come D'Alema al Paese. Se proprio risulta indigesto citare l'Italia, a sinistra l'allergia diventa insostenibile quando un patriota osa pronunciare la parola «Nazione». Non può farlo il neopremier Giorgia Meloni, che in campagna elettorale ha subìto le allarmate attenzioni di intellettuali radical-chic sulla pericolosa denominazione, ostentata come elemento identitario di distinzione. Anzi, una provocazione gradassa per spostare il profilo nazionale verso l'estrema destra. Una parola talmente eversiva che ieri mattina è stata pronunciata per ben 25 volte, in poche decine di minuti, davanti al presidente della Repubblica, al Salone delle Feste al Quirinale. Dalla presidente del Consiglio all'ultimo ministro senza portafoglio, i nuovi membri di governo hanno giurato testualmente di essere fedeli alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi, e di esercitare le funzioni «nell'interesse esclusivo della Nazione». Non è stato un atto di ribellione o uno strappo al protocollo per imporre un modello destrorso di visione patriottica: si sono limitati a leggere, più o meno impacciati, la formula che battezza tutti i governi repubblicani. Anche quello di Enrico Letta, va ricordato, attuale leader di un'opposizione ossessionata da linguaggi sovranisti.

In campagna elettorale gli antifascisti a tempo pieno hanno censurato la leader di Fratelli d'Italia per l'uso spregiudicato di un termine accostato a rigurgiti del Ventennio, spirito revanscista da nazionalismo militar-prussiano, rumore sordo di anfibi che rimbombano sul selciato. Adesso che anche i neoministri Calderone o Schillaci si sono affidati alla «Nazione» dinanzi al capo dello Stato, è l'ora di chiudere una querelle che non aveva senso dal primo momento. Diventa difficile anche per chi ha evocato il fascismo risorgente al comparire della Fiat 500 della Meloni, aggiungere altre sterpaglie sul falò delle pulsioni autoritarie del centrodestra. Si riserveranno qualche petardo per il centenario dell'infausta marcia su Roma, che cade il 28, venerdì prossimo. Gli irriducibili denunceranno tragiche analogie tra Giorgia e Mussolini, Lollobrigida e il gerarca De Vecchi, Urso e il quadrumviro Italo Balbo. Poi finalmente finirà la ricreazione e il governo potrà lavorare senza ulteriori test di democraticità.

Facciamo che basti aver vinto libere elezioni in un libero Paese (pardon Nazione) e aver giurato sulla Costituzione «più bella del mondo».

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