Negoziato flop, Trump si rifà avanti

Putin pretende i territori occupati. Donald: "Pronto a sedermi al tavolo con i due leader"

Negoziato flop, Trump si rifà avanti
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Secondo i mediatori turchi il vettice di Istanbul «non si è concluso negativamente» ma che in realtà, al di là di un nuovo maxi-scambio di prigionieri, sia stato un flop è piuttosto evidente. Tra le pieghe del colloquio, durato soltanto un'ora, c'è un dettaglio su tutti che spiega come le distanze tra Mosca e Kiev restino al momento incolmabili: la delegazione di Mosca ha rifiutato di restituire i 339 minori rapiti di cui Kiev ha fornito i nominativi perché, sostiene, «questi bambini non sono stati rapiti da nessuno». Negando ancora una volta, quindi, il crimine per cui la Russia e Putin sono stati condannati dalla Corte penale internazionale. Un dettaglio non secondario, se si considera che i russi, anzi, parlano di «bambini salvati dai nostri soldati», mentre gli ucraini ribadiscono che «devono essere rimpatriati» e che «è il momento di dimostrare buona fede».

C'è tanto del colloquio di ieri in questo botta e risposta. Una dozzina di persone, un tavolo a forma di U con i turchi nel mezzo. Sul tavolo il memorandum fornito da Mosca per arrivare a un cessate il fuoco, «dettagliato» secondo la delegazione guidata dal collaboratore di Putin, Vladimir Medinksy per «raggiungere una pace vera e duratura». Anche se le richieste russe sembrano essere sempre le stesse, irricevibili per Kiev e per l'Occidente, il ministero degli Esteri ucraino ha fatto sapere che verrà studiato a fondo, anche se la Russia continua a pretendere il ritiro ucraino da Donetsk, Lugansk, Zaporizhia e Kherson di cui rivendica il possesso. Gli ucraini continuano a spingere per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni con Kiev che definisce la tregua «la base per iniziare un negoziato». Ma la risposta di Mosca è stata un cessate il fuoco, sì, ma solo di due o tre giorni e solamente lungo certi settori del fronte. Ennesima dimostrazione di quanto la distanza tra le parti sembri incolmabile.

Ma a rompere i fragili equilibri, potrebbe essere Donald Trump. La portavoce della Casa Bianca ha detto che «il presidente è aperto alla possibilità» di andare a Istanbul in prima persona «ma vuole che entrambi i leader e entrambe le parti siedano insieme al tavolo delle trattative». Una pressione che può fare la differenza, dopo che Erfdgoan, sempre a caccia di una legittimazione internazionale come mediatore, aveva lanciato il sasso: «Il mio desiderio più grande è fare incontrare Putin e Zelensky a Istanbul o Ankara. Mi piacerebbe che venisse anche Trump». Chissà.

L'unico risultato, finora è un nuovo accordo riguardo la liberazione dei prigionieri. «Abbiamo concordato uno scambio tutti per tutti di soldati gravemente malati e giovani sotto i 25 anni. Abbiamo anche concordato sulla restituzione delle salme dei caduti: 6mila per 6mila», ha confermato Umerov con Medinsky che parla del «più grande scambio di prigionieri finora avvenuto». Una goccia nel mare di un conflitto infinito. «L'aggressore non deve ricevere alcuna ricompensa per la guerra», ha detto il presidente ucraino Zelensky da Vilnius. «Qualsiasi ricompensa dimostrerebbe a Putin soltanto che la guerra conviene, allora l'appetito della Russia non farà che crescere», ha sottolineato.

Il prossimo round negoziale dovrebbe essere a fine mese. Altri trenta giorni di attesa, di ansia e di speranza, per vedere se le condizioni cambieranno e si apriranno spiragli per fermare la guerra. Con la variabile Donald pronta a cambiare tutto.

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