Guerra in Israele

Nel kibbutz "italiano" sul confine libanese. "Giriamo armati contro Hezbollah"

Il fronte Nord di Israele è sempre più caldo. A Sassa evacuati gli abitanti. Restano solo volontari in armi e un reparto dell'esercito: "Non sappiamo dove porterà l'escalation"

Yehuda Calo e Cesare Fusaro della protezione del kibbutz
Yehuda Calo e Cesare Fusaro della protezione del kibbutz

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Nel kibbutz "italiano" sul confine libanese. "Giriamo armati contro Hezbollah"

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Il fumo color terra di un missile si espande a zig zag nel cielo. L'artiglieria israeliana risponde al fuoco delle postazioni di Hezbollah, i giannizzeri di Teheran in Libano. Tonfi sordi dei colpi in partenza, ma sulle colline verdi della linea di confine esplodono uno dietro l'altro i razzi dei miliziani sciiti alleati di Hamas, sollevando funghi di fumo grigio. Il fronte nord fra Israele e Libano è sempre più caldo con allarmi e scontri quotidiani. «Solitamente cominciano a sparare verso le quattro del pomeriggio, prima del buio» racconta l'abitante di un villaggio abitato solo da circassi, a un passo dalla terra dei cedri. Sulla collina di fronte si vede bene il minareto di una moschea libanese.

La «battaglia» a colpi di cannone, razzi, raid aerei e droni sta andando avanti a intermittenza. Lungo la strada in salita che parte dal villaggio druso di Hurfesh, in direzione del Libano spunta ogni tanto, all'improvviso, un blindato ben mimetizzato di Tsahal, l'esercito israeliano. All'apice della collina il bunker è stato costruito con il Libano a un passo da una parte e il Mediterraneo all'orizzonte dall'altra. Andiamo avanti costeggiando la «linea blu», che segna il confine mai riconosciuto con Israele. La striscia d'asfalto è deserta fino a quando arriviamo a un barriera di lastre di cemento, che protegge un'agguerrita unità di Tsahal. Gipponi blindati, tiratori scelti, operatore radio che riceve ordini concitati, i soldati in divisa verde sono in assetto di combattimento. «Ragazzi, niente foto ed è meglio se tornate indietro perché ci stiamo muovendo» ordina un militare. Gli israeliani sono penetrati in Libano con due carri armati per snidare delle postazioni filo iraniane. Torniamo indietro a tutta velocità costeggiando la linea blu fino a Matat dove il villaggio è presidiato da giovani armati fino ai denti. «Occhio ai razzi di Hezbollah» sibila uno dei militari.

Sulla prima linea del nord resiste Sassa, il kibbutz degli «italiani» come Cesare Funaro, «con Roma sempre nel cuore». Giubbotto anti proiettile, fucile mitragliatore a tracolla e simbolo della squadra della capitale sempre al collo. «Due minuti fa ci sono stati dei bombardamenti» racconta come se fosse normale, al posto di guardia dell'ingresso del kibbutz sprangato da un pesante cancello giallo. Tre figli al fronte, uno nella striscia di Gaza, Cesare fa parte della forza di protezione del mini villaggio in gran parte svuotato dei suoi 500 kibbutzin. Quasi tutti sono stati evacuati in zone più sicure. Gli unici a essere rimasti sono i volontari in armi e un reparto dell'esercito. Un paio di blindati risalgono alla guerra dello Yom Kippur di cinquant'anni fa, ma sono sempre buoni per trasportare i feriti in caso di necessità.

Angelica Calo raccoglie le mele del kibbutz Sassa ad un passo da hezbollha con la pistola alla cintola
Angelica Calo raccoglie le mele del kibbutz Sassa ad un passo da hezbollha con la pistola alla cintola

Yehuda Calo è il capo della sicurezza. «Da questo punto bisogna proseguire a piedi per sicurezza - spiega diretto verso casa - Vedi laggiù è il Libano, a un chilometro, da dove ci sparano». La moglie Angelica, italiana trapiantata in Israele, è la vera anima del kibbutz. «Sono una docente e quando ho letto dell'appello degli accademici italiani su Gaza mi sono venuti i capelli dritti. Ma si rendono conto del massacro che abbiamo subito il 7 ottobre?» si chiede la pasionaria di Sassa.

Fra gli «italiani» del kibbutz, Luciano Assin continua ad andare a raccogliere le mele dell'ampio frutteto che sostiene la comunità. «Oltre questa collina, che ci protegge, c'è Hezbollah - spiega con una bisaccia a tracolla - Oramai è un'escalation e non sappiamo dove andremo a finire». Una mela raccolta è bacata e per smorzare la tensione fa una battuta: «Questa la diamo a Nasrallah», il capo del Partito armato di Dio (Hezbollah) in Libano. Nel frutteto è arrivata anche Angelica con una pistola Beretta alla cintola, che porta malvolentieri: «Sono una donna di pace e non avrei mai pensato di dover venire armata a raccogliere mele e kiwi».

Il marito ci fa vedere le immagini di un tunnel di Hezbollah che gli israeliani hanno scoperto non molto lontano. «Da 3-4 anni si sente scavare - spiega Yehuda - Temiamo che possano spuntare alle nostre spalle grazie alle gallerie».

Il giorno prima i miliziani sciiti hanno lanciato due missili controcarro lanciati da oltre confine. L'attacco ha colpito gli operai del sistema elettrico e gli ordigni guidati a distanza sono piombati sugli obiettivi civili con una scia di fumo a girandola fino all'esplosione. Hezbollah ha ripreso tutto in un video di propaganda subito rilanciato sui social. Angelica, che ha la casa sulla linea di tiro, urla verso il paese dei cedri: «Madri del Libano, dite ai vostri figli di smettere di combattere.

Potremmo vivere benissimo insieme».

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