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Nel Pd ora si rifà sentire la voce dei "nostalgici" che vogliono riallacciare i rapporti con Grillo

L'affondo di Cuperlo: «Che errore permettere l'alleanza tra il M5s e il Carroccio»

Nel Pd ora si rifà sentire la voce dei "nostalgici" che vogliono riallacciare i rapporti con Grillo

Roberto Scafuri

Roma Ora si mordono le mani, piangono sul latte versato, volgono la mente a San Bersani decollato affinché faccia la grazia. Si torni pure sul crinale che fece la storia, marzo 2013; si riportino le lancette all'aprile 2018, con quel nome che in fondo non era che segnale beneaugurante: Roberto Fico. Ah, se l'incontro ci fosse stato, se i capi avessero capito. Ah, se la storia si facesse con i «se».

Dunque c'è un piccolo grande segreto di Pulcinella, nel serpe tentatore che sbuca d'ogni scrivania del Nazareno ammiccando alla mela del peccato: l'innominabile voglia piddina di diventare la «sesta» stella di Casaleggio (in fondo a destra, questo è il cammino/ e poi dritto fino al mattino/poi la strada la trovi da te). Se Salvini punta smodatamente a incarnare l'intera anima del centrodestra, senza rendersi conto che è proprio il suo radicalismo a ostacolarlo, Luigi Di Maio di questi problemi non ne ha: si pone già, stabilmente, come un capo pidino 3.0. Senza primarie, senza fanfeluche, senza impicci. Stesso elettorato, quello sul quale insistono Cinquestelle e Pd; competition is competition, è questo in realtà il motivo che impedisce a un politico cui è rimasto solo il fiuto animale, come Renzi, di scendere a patti con chi gli ha rubato l'elettore dal piatto.

«Renzi è il passato», spiegava ieri al Fatto la rediviva iconcina della sinistra pd, Gianni Cuperlo, che il buon cuore del segretario Martina ha ritrapiantato negli organi vitali del partito. Responsabile delle alleanze: mai scelta fu più avveduta, visto che Cuperlo dovrebbe conciliare quel che fu di sinistra con la ripresa di un dialogo interrotto, e che pure squassa il Pd dalle fondamenta. «Sarà il tema del dibattito congressuale», diceva sere fa il presidente pd Orfini, biasimando «chi rimpiange» la scelta di allearsi con M5s. La tesi renziana è che i grillini siano invece «alleati naturali della Lega». Relegarli in quello stesso bacino, nel pentolone sovranista-populista farebbe certo comodo, al Pd. Ma da tempo gli oppositori interni capovolgono l'analisi, consci che i loro voti, soprattutto quelli d'opinione, lì sono finiti. Emiliano e Bersani erano avanguardie, oggi sulla linea del dialogo ci sono pure Orlando, Franceschini e il candidato leader Zingaretti. Persino Martina e Delrio cominciano a pensarlo. Chi più, chi meno, considerano «errore gravissimo aver lasciato M5s all'alleanza con la Lega» e accusano Renzi d'aver condotto il Pd in questo buco nero d'irrilevanza forse fatale. Lo ribadisce Cuperlo, spiegando come fosse errato «tifare perché un movimento carico di ambiguità ma che ha anche raccolto voti da sinistra si saldasse alla destra peggiore. La logica di chi, urlando al lupo, ha fatto di tutto per aprirgli la gabbia, è la cosa meno comprensibile di questi mesi. Vedo l'anima di destra anche nel partito di Grillo, ma lì vivono contraddizioni profonde: compito di una opposizione intelligente è farle emergere». I grillini incarnano una «confusa democrazia della rete segnata dal ruolo opaco della Casaleggio associati», dice Cuperlo, e chissà se non è già troppo tardi, se i buoi torneranno nella stalla, nostalgia canaglia.

L'isola che non c'è, e mai più sarà.

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