Nessun rischio crac in Borsa: "Il mercato ha già votato No"

Per l'ad di Piazza Affari i grandi operatori hanno già venduto Dopo il lunedì nero, il listino sale del 2% e le banche volano

Nessun rischio crac in Borsa: "Il mercato ha già votato No"

Il mercato ha già votato No al referendum. A dirlo, ieri, è stato l'amministratore delegato di Borsa Italiana, Raffaele Jerusalmi, a margine di un convegno organizzato a Milano.

econdo l'ad «la presenza di colossali posizioni corte (ovvero le posizioni ribassiste e dunque la vendita in massa di titoli ndr) sull'Italia in Usa e in Paesi dove ci sono grandi investitori segnala la scommessa su una vittoria del No al referendum costituzionale di domenica prossima». Sempre secondo Jerusalmi tra gli investitori da una parte ci sia la consapevolezza che una vittoria del Sì garantirà stabilità; ma c'è anche la convinzione profonda da parte di una grande fetta di investitori che vincerà il no. «Ma si sono sbagliati tante volte, è possibile si sbaglino anche stavolta».

Le parole dell'ad di Borsa arrivano il giorno dopo l'articolo del Financial Times, certo che se Renzi perderà la partita le otto banche «malate» del sistema rischierebbero di fallire. Tagliente il giudizio di Jerusalmi sulla «profezia» del quotidiano della City: «Non leggo l'Ft da molto tempo proprio perché fanno spesso articoli un po'fantasiosi, forse questo è uno di quelli». Meglio credere all'Economist, che si è schierato apertamente per il No? «Sono scettico per definizione come tutti i bravi trader, non crediamo in generale», ha risposto.

Il quotidiano britannico si era schierato a favore dei «remain» durante il referendum casalingo sulla Brexit. In quel caso, i mercati avevano scommesso sul sì e avevano dunque dovuto ammortizzare un evento del tutto inatteso. In queste settimane, anzi in questi ultimi mesi, i titoli bancari italiani hanno già perso tanto in Borsa non (solo) per i timori legate all'instabilità politica ma per la mole di sofferenze che zavorrano i bilanci di quelle in difficoltà. Quindi la performance azionaria non può che migliorare con uno choc eventualmente positivo.

Di certo, se lunedì scorso le big del credito hanno reagito al Financial Times crollando in Piazza Affari e affossando l'intero listino, ieri in Borsa si è visto tutto un altro film. Come se quelle stesse banche fossero improvvisamente risorte: Milano ha fatto meglio di tutte le altre piazze europee (+2,1%) proprio grazie agli istituti della «lista nera»: Mps è rimbalzata del 17,4%, Unicredit ha guadagnato più del 3%, Ubi il 5,8%, Carige il 5,6%, Intesa Sanpaolo il 4,2%, il Banco Popolare il 4,1% e Bpm il 4,2 per cento. «Qualcuno in queste due ultime sedute ha guadagnato molto, qualcun altro si è fatto molto male», commentano nelle sale operative. A prendere fiato ieri è stato anche il temuto spread tra Btp e Bund che ha chiuso la seduta in forte calo a 174 punti base, sui minimi delle ultime due settimane.

I rialzi sono stati alimentati dalle indiscrezioni su un possibile cordone sanitario steso dalla Banca Centrale Europea in caso di bocciatura del referendum. La Vigilanza di Francoforte sarebbe infatti pronta a ad aumentare gli acquisti di titoli di Stato italiani, se fosse necessario in caso di tensioni sui mercati.

In sostanza, la Bce di Mario Draghi potrebbe utilizzare il piano di quantitative easing da 80 miliardi al mese per contrastare un eventuale balzo dei rendimenti dei titoli.

Si tratterebbe comunque di un intervento limitato a pochi giorni, al massimo qualche settimana. Se le tensioni dovessero proseguire dovrebbe essere il governo a chiedere formalmente aiuto.

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