Dall'eroismo alle trattative, ecco come si normalizza l'epopea dell'Azovstal. Sabato da più parti, Volodymyr Zelensky compreso, si era caldeggiato uno scambio tra i fuoriusciti dell'acciaieria, ora detenuti nel territorio dell'autoprocalamata repubblica del Donetsk, e prigionieri eccellenti russi, e si era fatto anche il nome dell'oligarca ucraino filorusso Viktor Medvedchuk, sotto custodia dell'intelligence di Kiev da oltre un mese, come pedina per liberare se non tutti almeno parte dei militari che hanno resistito per oltre due mesi asserragliati nell'impianto siderurgico.
Sembrava una strada tortuosa ma percorribile, che avrebbe costituito anche un laboratorio di dialogo fattivo tra Mosca e Kiev in vista di una trattativa per un cessate le armi a cui ieri Mosca ha aperto uno spiraglio, dicendosi pronta «a continuare i colloqui con l'Ucraina, che sono stati congelati da Kiev», come ha detto il capo negoziatore di Mosca, Vladimir Medinsky. Ma sullo scambio i russi hanno fatto marcia indietro. Leonid Slutsky, il capo della commissione Esteri della Duma di Stato, che fa anche parte della squadra negoziale di Mosca, ha fatto marcia indietro. «La mia opinione non è cambiata: non dovrebbe esserci uno scambio di combattenti del battaglione Azov, il loro destino dovrebbe essere deciso dal tribunale», ha scritto su Telegram. Mosca ritiene gli «eroi» dell'acciaieria dei terroristi, soprattutto i militanti delm battaglione Azov, e non dei prigionieri di guerra.
La sorte dei 2.439 «partigiani» dell'Azvstal, alla periferia di Mariupol (il numero è quello fornito dai russi, gli ucraini parlano di centinaia di persone e sospettano che Mosca gonfi artificialmente i numeri per lasciarsi maggior spazio di manovra) si intreccia chiaramente con il processo negoziale fermo da tempo. Zelensky sabato aveva ammonito Vladimir Putin: «Non ci sarà negoziato senza aver salva la vita dei fuoriusciti di Azovstal». E ieri il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak ha allontanato la prospettiva di un cessate il fuoco che preveda delle concessioni di Kiev a Mosca perché «dopo un po', con rinnovata intensità, i russi accumuleranno armi, manodopera e lavoreranno sui propri errori, si modernizzeranno un po', licenzieranno molti altri generali e inizieranno una nuova offensiva, ancora più sanguinosa e su larga scala». Insomma, «le forze russe devono lasciare il Paese e dopo sarà possibile la ripresa del processo di pace».
L'idea dello scambio tra prigionieri in realtà resta in piedi, ma è chiaro che ci vuole una mediazione internazionale che faciliti gli accordi. Se la «liberazione» dell'acciaieria è stata resa possibile prima di tutto dalla Turchia, dalla Francia, da Israele, e anche dagli Svizzeri, intenzionati ospitare al più presto una sorta di conferenza di pace, non c'è chi non pensi che sia a un certo punto intervenuta una telefonata di Joe Biden ad agevolare un accordo. E qualcuno pensa che anche il Vaticano debba farsi largo tra i mediatori, offrendosi come sede di un incontro tra le due parti.
Secondo il leader separatista filorusso del Donetsk Denis Pushilin. «2.439 persone sono state detenute e sono in custodia, di cui 78 sono donne», senza poter escludere del tutto che qualcuno continui ancora a nascondersi nell'acciaieria. «Avevano cibo e acqua a sufficienza, avevano anche armi a sufficienza. Il problema era la mancanza di medicinali. Non escludiamo che qualcuno sia rimasto. Verrà effettuato un controllo approfondito», ha precisato. Tra coloro che si sono arresi ci sarebbero anche alcuni stranieri, anche se Pushilin avverte che le informazioni su essi saranno rese note solo «dopo il lavoro degli specialisti».
Coninuano a muoversi anche le mogli di Azov, compagne dei militanti del battaglione sospeso tra eroismo e lo stigma di essere di ispirazione nazista. Le madri e le mogli dei difensori dell'acciaieria stanno intessendo una fitta rete di relazioni per salvare la vita dei loro uomini.
Ieri hanno incontrato il patriarca Bartolomeo a Istanbul, consegnandogli un biglietto con i nomi dei difensori ucraini per la preghiera e ricevendo una benedizione. Dopo l'incontro con il Patriarca ortodosso Bartolomeo, le donne hanno annunciato l'intenzione di istituire un comitato per proteggere i diritti dei militari ucraini.
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